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L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).




Niente IMU se i coniugi hanno due immobili in Comuni diversi



Niente IMU se i coniugi hanno due immobili in Comuni diversi

L’esenzione IMU “prima casa” si applica anche ad altri immobili

Ai fini del pagamento dell’IMU, l’agevolazione relativa all’abitazione principale si estende anche ad altri immobili di proprietà dei coniugi ubicati in Comuni diversi, nei quali ciascuno di loro è dimorante abituale.
Lo ha stabilito la Commissione Tributaria di Brescia con la sentenza n.  605/2/2016, accogliendo il ricorso della contribuente proposto avverso gli avvisi di accertamento del Comune, che non aveva riconosciuto l’esenzione per un immobile che costituiva abitazione principale del nucleo familiare, in quanto già applicata per un altro immobile utilizzato dal marito ubicato in un diverso Comune.
I giudici tributari, a sostegno della decisione, affermano che è ben possibile la sussistenza di più abitazioni principali allorquando, per esigenze lavorative, altri immobili vengano utilizzati come dimora abituale, purché siano ubicati in Comuni diversi per evitare l’ingiustificata duplicazione del beneficio fiscale.
La conferma, del resto, è stata fornita anche dal Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, ribadendo che “l’esenzione si applica nel caso in cui i coniugi abbiano stabilito l’abitazione principale in due comuni diversi”, nonché dal Ministero con la circolare 3/DF del 18 maggio 2012, in cui si precisa che i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze sono riconosciuti dal legislatore al possessore e al suo nucleo familiare, unificando il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale e individuando come abitazione principale solo l’immobile in cui sussistono entrambe le condizioni della residenza anagrafica e dell’abitualità della dimora.
Si legge, ancora, nella circolare che “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative“.
Quindi, se la moglie dimora abitualmente e risiede anagraficamente in un Comune, mentre il marito ha residenza e dimora abituale in altro e diverso Comune, a entrambi gli immobili di proprietà si applica l’agevolazione relativa ad “abitazione principale”.
Sul piano normativo, l’agevolazione trova riconoscimento nell’art. 13, II comma, del D.L. 201/2011, che per l’appunto prevede l’esenzione d’imposta per “abitazione principale” relativamente all’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente.
A tal fine – precisa la CTP di Brescia – per nucleo familiare deve intendersi quell’unità sociologica composta, non solo dai componenti della famiglia tradizionale che vive nello stesso alloggio, ma anche da una persona fisica che vive sola in un immobile.
Infatti, fanno parte del ‘nucleo familiare’ i soggetti componenti la ‘famiglia anagrafica’, che ai sensi dell’articolo 4 del DPR 30 maggio 1989 n.223, può essere costituita anche da una sola persona, oltre che da una serie di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affintà, tutela, adozione o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
Quindi, ciascun coniuge può costituire una sua distinta ‘famiglia anagrafica’ nell’ambito di comuni diversi.
L’importante, ai fini dell’esclusione dall’IMU/TASI, è che alla residenza anagrafica presso quell’immobile indicato come ‘abitazione principale’ corrisponda anche il dato sostanziale della ‘abitualità’ della dimora presso quella abitazione, che non deve essere figurativa, ma reale ed effettiva.
L’abitualità della dimora, quindi, ai fini dell’esenzione IMU, costituisce il vero dato scriminante che deve essere oggetto di prova da parte del contribuente, salvo che il Comune non sollevi alcuna contestazione sul punto.
Ricorso vinto quindi. Ma la soddisfazione in Commissione Tributaria non è quasi mai del tutto appagante. Anche in questo caso, infatti, in dispregio del principio della soccombenza, la Commissione ha ritenuto di compensare le spese di lite in ragione – tanto si afferma – della natura e problematicità della questione.
Ma questa è tutta un’altra storia.

Casa coniugale e divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi.



Casa coniugale e divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi.
L'assegnazione del godimento della casa familiare, ex articolo 155 del Ccprevigente e articolo 155-quater del Cc, o in forza della legge sul divorzio, non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell'immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato dell'immobile, quando l'appartamento viene attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso.
La Corte ha ritenuto che il diritto di abitazione della casa familiare non è un diritto reale ma è previsto dall'articolo 155 del Ccnell'esclusivo interesse dei figli e non nell'interesse dl coniuge affidatario.

Tale diritto viene meno con l'assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere. Esso, pertanto, non può essere preso in considerazione nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione, al fine di determinare il valore di mercato dell'immobile, sia perché non è riconosciuto nell'interesse del coniuge affidatario dei figli, sia perché ove si effettuasse una decurtazione del valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con l'attribuzione di una somma inferiore alla metà del valore venale del bene.

A conferma di ciò, basta la considerazione che, qualora l'assegnatario in proprietà esclusiva intendesse rivendere l'immobile a terzi, ricaverebbe l'intero prezzo di mercato senza alcuna diminuzione.

Divorzio. Pensione di reversibilità. Criteri di riparto tra coniuge superstite e divorziato



Divorzio. Pensione di reversibilità. Criteri di riparto tra coniuge superstite e divorziato
Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato ed il coniuge superstite, occorre tenere conto, oltre che della durata dei rispettivi vincoli matrimoniali, anche di una serie di altri parametri riconducibili a quelli enucleati dall'art. 5, Legge n. 898/1970, quali le complessive condizioni economiche degli aventi diritto, l'entità dell'assegno attribuito al coniuge divorziato, l'età raggiunta ed ogni altro elemento utile in relazione alla particolarità del caso concreto.
Tribunale di Roma, sentenza 3 agosto 2016
ll Tribunale di Roma ha chiarito che la ripartizione del trattamento di reversibilità non può ridursi ad un mero calcolo matematico i cui addendi siano costituiti dalla durata dei rispettivi matrimoni delle due parti, che, invece, ben può estendersi anche alla convivenza prematrimoniale, postulando altresì, sulla scorta di un principio già da tempo implicitamente affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 419/1999, l'applicazione anche di ulteriori criteri di valutazione, da individuarsi nell'ambito dello stesso art. 5 l. div. in relazione alla determinazione dell'assegno divorzile, trattandosi di elementi funzionali allo scopo di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l'assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il "de cuius" gli aveva assicurato in vita. Concorrono, pertanto, nella determinazione delle quote da attribuirsi rispettivamente al coniuge divorziato ed al coniuge superstite, quali correttivi dell'elemento meramente temporale, una serie di altri parametri riconducibili a quelli enucleati dall'art. 5 l. div., quali le complessive condizioni economiche degli aventi diritto, l'entità dell'assegno attribuito al coniuge divorziato, l'età raggiunta ed ogni altro elemento utile in relazione alla particolarità del caso concreto.

Per quanto attiene alla durata dei rispettivi vincoli matrimoniali, che, comunque, resta uno dei parametri principali dal quale muovere per la ripartizione, fatta salva l'applicabilità dei correttivi di tipo equitativo che possono anche prevalere su quello della durata, occorre far riferimento non già al rapporto formale, ma anche alla convivenza prematrimoniale, al fine di riferire il criterio temporale all'effettiva comunione di vita del de cuius con le due mogli stante la parificazione ormai consolidata che assimila la convivenza more uxorio al rapporto matrimoniale: da ciò consegue che deve ritenersi possibile discostarsi da un rigido criterio basato unicamente sulla durata del matrimonio legale, comprendente anche il periodo successivo alla separazione fino alla sentenza di divorzio, allorché sia notevole lo scarto fra matrimonio e convivenza effettiva ed a tale scarto corrisponda una concomitante convivenza "more uxorio" della nuova coppia. Quel che però occorre rilevare, e che costituisce uno degli specifici elementi in contestazione tra le parti, è che la convivenza rilevante è unicamente quella intervenuta tra il de cuius e la seconda moglie la quale soltanto costituisce elemento che possa prevalere sul vincolo formale nei confronti della prima moglie che in quanto tale si estende fino alla pronuncia di divorzio, mentre del tutto neutrale è l'eventuale convivenza che abbia preceduto il matrimonio della ricorrente, la quale non elide il concorrente diritto di alcuno.

Nella fattispecie, le risultanze istruttorie hanno consentito di appurare che il matrimonio tra il de cuius e la seconda moglie, durato formalmente 5 anni e mezzo, è stato preceduto da una convivenza durata circa dieci anni come emerso dalle univoche deposizioni dei testi ; deve, pertanto, ritenersi accertato che la convivenza ha coperto un arco temporale di 15 anni, a differenza di quella del ricorrente che deve ritenersi di gran lunga inferiore alla durata formale del suo vincolo matrimoniale. Invero, la coabitazione coniugale della ricorrete non può ritenersi superiore ad 11 anni.

Ciò premesso le ulteriori risultanze istruttorie hanno evidenziato che entrambe le donne risiedono in un immobile di loro proprietà, entrambe sono titolari di altri cespiti immobiliari. Diversa è risultata, invece, la loro condizione reddituale, atteso che gli emolumenti retributivi percepiti dalla resistente sono pressoché il doppio dei compensi percepiti dalla ricorrente.

La pensione di reversibilità del de cuius ammonta stando a quanto dedotto dall'ENPAM ad un importo mensile lordo di € 202,53 e di € 2.690,53.

Sulla scorta di tale quadro, pur ritenendosi che il criterio guida nella ripartizione delle quote della pensione di reversibilità sia comunque quello di calibrare l'interesse del primo coniuge a non essere privato dei mezzi indispensabili per il suo mantenimento rispetto al tenore di vita cui era preordinato l'assegno di divorzio e l'interesse del secondo coniuge a mantenere lo stesso tenore assicuratogli dal de cuius in vita, si ritiene, da un canto, di dover valorizzare il maggior contributo fornito dalla parte ricorrente alla conduzione del menage domestico, avuto riguardo alla circostanza che, oltre all'attività lavorativa svolta, si è occupata anche della crescita dei due figli nati in costanza del suo matrimonio e che tuttora grava sulla medesima il mantenimento del secondogenito Giulio, nato in data 10.7.1991, con lei convivente dopo il decesso del padre, ma d'altro canto va tenuto conto sia dell'entità dell'assegno divorzile spettante alla ricorrente, rivalutato alla morte del de cuius ad € 424,00 mensili, sia della maggior durata della convivenza della resistente con il coniuge così come del fatto che sia stata quest'ultima a stargli accanto fino alla sua morte, unitamente alla minor consistenza delle sue proprietà immobiliari che di fatto controbilanciano le maggiori capacità reddituali.

Tanto premesso, il Tribunale ha ritenuto che la quota da attribuirsi alla ricorrente vada quantificata nella misura del 35%, essendo con tale percentuale, superiore all'assegno divorzile di cui beneficiava in precedenza, ampiamente assolta la finalità assistenziale propria della pensione di reversibilità.

Alla seconda moglie deve conseguentemente essere attribuito il restante 65%.

Il diritto della parte ricorrente alla percezione della quota suddetta decorre, nei confronti dell'ente previdenziale erogatore, dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Qualora, pertanto, la pensione - anteriormente alla pronunzia del giudice attributiva di una quota di questa al divorziato - sia stata corrisposta per intero ovvero in maggior misura al coniuge superstite, gli arretrati spettanti al divorziato fanno carico esclusivo all'ente previdenziale erogatore, atteso che solo questi ha titolo per effettuare in modo corretto i conteggi relativi al computo delle somme nello specifico spettanti ai diversi beneficiari e potrà, quindi, recuperare le somme versate in eccesso.

Ove, pertanto, il coniuge superstite abbia percepito medio tempore importi maggiori di quelli attribuitigli con la pronuncia in oggetto a titolo di trattamento di reversibilità corrisposto dall'ente medesimo, spetta a quest'ultimo e non già al coniuge superstite la corresponsione degli arretrati dovuti all'ex coniuge divorziato: all'ente previdenziale deve essere pertanto ordinata, in accoglimento della richiesta accessoria formulata dal ricorrente, la corresponsione degli arretrati eventualmente spettanti a quest'ultima a decorrere dal giorno successivo a quello del decesso del de cuius, salva ovviamente la facoltà per l'ente previdenziale di recuperare dalla resistente le somme versatele in eccesso.

La sentenza in rassegna ritorna sul dibattuto tema dei criteri di ripartizione della pensione di reversibilità tra ex coniuge, titolare di assegno di divorzio, e coniuge superstite.

Il comma 3 dell'art. 9 della legge sul divorzio, nel testo riformato nel 1978, indica un unico criterio che il Tribunale deve tenere in considerazione per ripartire la pensione: la durata del rapporto matrimoniale.

Due coniugi si stanno separando e la moglie sosituisce la serratura di casa per non far entrare il marito.



Due coniugi si stanno separando e la moglie sosituisce la serratura di casa per non far entrare il marito.
E' reato ma si può applicare la particolare tenuità del fatto.
Cassazione penale sesta sezione sentenza nr. 39458/2016

Applicabile il fatto di particolare tenuità nel caso della moglie che sostituisce la serratura di casa per non far entrare il marito dal quale si stava separando

Padre immaturo? Il figlio va con la madre



Padre immaturo? Il figlio va con la madre
Per la Cassazione, l'affido esclusivo alla mamma risponde all'interesse preminente del minore in considerazione della scarsa maturità genitoriale dell'uomo
Perde il figlio il padre immaturo che viene affidato esclusivamente alla madre. A sancirlo è la Cassazione, con la sentenza n. 18559/2016 depositata il 22 settembre scorso (e qui sotto allegata), accogliendo il ricorso di una donna che chiedeva l'affido esclusivo del figlio data la grande immaturità dell'ex marito e le aggressioni subite dallo stesso.
Per gli Ermellini, va ribaltato il verdetto della corte d'appello di Potenza che, a sua volta discostandosi dalla decisione del giudice di primo grado, aveva negato la richiesta della donna.
Da piazza Cavour arriva un monito importante e una tirata d'orecchie per i giudici di merito: è vero che l'affido condiviso costituisce la modalità prioritaria, ma lo stesso cade nel momento in cui sia contrario all'interesse del figlio.
E non è dato comprendere le perplessità dei giudici di secondo grado considerati i dati emersi "attestanti la scarsa maturità genitoriale dell'uomo nell'affrontare quelle maggiori responsabilità che l'affido condiviso comporta e la sua inidoneità educativa".
In particolare, ricorda la S.C., si rivela "sostanzialmente travisato l'interesse superiore del minore cui, come noto, occorre dare preminenza, la cui portata, dev'essere intesa come non limitata all'intuibile o comprensibile desiderio del bambino di mantenere la bigenitorialità, ma in funzione del soddisfacimento delle sue oggettive, fondamentali e imprescindibili esigenze di cura, mantenimento, educazione, istruzione, assistenza morale, e della sua sana ed equilibrata crescita psicologica, morale e materiale".
Sintomatica, peraltro, "dell'inadeguata valutazione dell'interesse del figlio delle parti appare, in aggiunta allo scarso rilievo attribuito ai profili del mantenimento e della irregolarità e non assiduità delle frequentazioni paterne, soprattutto l'assenza di specifica considerazione della tipologia e gravità della conflittualità esistente tra le parti e dei reati commessi dall'uomo" in danno della ex moglie, "inevitabilmente invece destinati a riflettersi negativamente anche su sentimenti ed equilibri affettivi, personali e familiari e sui rapporti interpersonali e, dunque, dotati di rilevante influenza sullo stabilimento del regime di affidamento più consono, anche in prospettiva al figlio della coppia".
Nessun dubbio dunque sull'accoglimento del ricorso della madre. Parola al giudice del rinvio.