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L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
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Non può restare sotto il tetto coniugale l’ex che crea tensione nonostante il forte legame coi figli
L’uomo, contumace, mostra disinteresse per la situazione familiare oltre che per il processo
L’ex non può continuare a vivere sotto lo stesso tetto del coniuge se non modifica i comportamenti che hanno portato alla rottura del matrimonio, nonostante il forte legame con i figli. È quanto ha stabilito il tribunale di Genova con la sentenza 1104/15, pubblicata dalla quarta sezione civile.
Il giudice ligure accoglie la domanda di una donna, separata dal marito. Al termine dell’udienza, l’ordinanza presidenziale disponeva l’affido condiviso dei figli e la collocazione prevalente presso la casa della madre, l’assegno di mantenimento per la prole (350 euro) a carico del marito, oltre a provvedere al 50 per cento delle spese straordinarie. Nonostante la notifica regolare, l’uomo rimaneva contumace, non presentandosi all’udienza. La donna evidenziava che il marito, sebbene a conoscenza del procedimento di separazione, continuava a vivere nella casa coniugale, senza modificare i comportamenti che avevano portato alla rottura della loro unione, dimostrando un totale disinteresse per la famiglia, lasciando alla moglie ogni responsabilità e per la gestione della casa e per la prole.
In particolare, l’uomo non accettava di allontanarsi dal tetto coniugale, creando così un clima di tensione, ma soprattutto illudendo i figli che il rapporto con la madre potesse ricucirsi. Il convenuto, rimasto contumace, dimostrava disinteresse non solo per la vicenda processuale, ma anche per la situazione familiare. Pertanto, il giudice procedeva alla separazione, accogliendo le richieste della donna: affido condiviso, prevalente collocazione presso la madre e contributo di mantenimento per i figli. Ma non solo. L’uomo, oltre a non poter più abitare sotto lo stesso tetto del coniuge, dovrà farsi carico anche del mutuo gravante su entrambi i coniugi, tenuto conto delle posizioni reddituali di entrambi.

Assegno di mantenimento: come si calcola se il marito fa il nero? Quando non è possibile determinare il reddito effettivo sulla base della documentazione fiscale e delle indagini della polizia tributaria, il giudice può limitarsi a tenere conto del tenore di vita. Come si determina un corretto ed equo assegno di mantenimento se il coniuge onerato al versamento ha una dichiarazione dei redditi decisamente più bassa rispetto al proprio tenore di vita perché, nei fatti, riesce ad evadere e a fare del “nero”? Un cruccio che affligge molte donne le quali, in sede di separazione o divorzio, non riescono a dimostrare – neanche con l’ausilio dell’anagrafe tributaria o della polizia tributaria – le effettive sostanze del proprio ex marito. Come ci si difende, allora, in questi casi? Lo chiarisce la Cassazione con una recente ordinanza [1], che commentiamo qui di seguito, a chiusura della trilogia di articoli su come calcolare e definire l’assegno di mantenimento nel caso di separazione e divorzio (per i precedenti capitoli, leggi: “Conta più il reddito del marito o della moglie?” e “Assegno di mantenimento: le indagini sul reddito del coniuge”). Secondo la Suprema Corte, a convincere il giudice del fatto che l’ex coniuge ha molto più di quanto effettivamente dichiara può essere il tenore di vita da questi condotto, la circostanza che abbia un nuovo nucleo familiare e un’attività di lavoro autonomo o imprenditoriale dove – si sa, senza peli sulla lingua – che, spesso, i redditi sfuggono alla tassazione. Inutile, quindi, obiettare che la dichiarazione dei redditi del soggetto onerato al mantenimento sia particolarmente bassa rispetto all’assegno preteso dall’ex coniuge se il suo tenore di vita dimostra che, conti alla mano, spende di più di quanto guadagna. È inverosimile, per esempio, mostrare una dichiarazione da 20mila euro all’anno se l’uomo ha una seconda casa, una nuova compagna con altri figli dalla più recente unione. Insomma, via libera anche alle “presunzioni”, come prove del reddito non dichiarato, ma goduto, nei fatti, dall’ex. E queste possono essere di qualsiasi tipo: il certificato di proprietà di una casa, le quote in una società, un reddito d’impresa, la formazione di una nuova famiglia, un contratto di affitto, un’auto con il relativo bollo e l’assicurazione. Insomma, il giudice si fa i conti in tasca al posto del contribuente reticente e… l’aumento scatta senza minimi termini, benché apparentemente non giustificato dalle dichiarazioni fiscali. La sentenza Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 9 giugno – 7 settembre 2015, n. 17738 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Rilevato che: 1. Il Tribunale Civile di Roma, con sentenza n. 12660 del 22 aprile 2004, ha dichiarato la separazione personale dei coniugi C. e V., disponendo l’affidamento delle figlie I. e S. alla madre con assegnazione alla stessa della casa coniugale, e stabilendo a carico di P.V., con decorrenza dalla domanda, un assegno mensile di mantenimento di euro 200,00 in favore della moglie e di euro 700,00 in favore delle figlie, assegni comprensivi di ogni spesa straordinaria. 2. Avverso tale sentenza, P.V. ha proposto ricorso alla Corte d’Appello di Roma chiedendo la revoca dell’assegno di mantenimento nel confronti della moglie, la riduzione dell’assegno di mantenimento in favore delle figlie ad euro 500,00 con decorrenza dalla sentenza di separazione. A.C. si è costituita e ha chiesto il rigetto dell’appello. 3. Con sentenza n. 2776 del 20 aprile 2005, la Corte d’Appello di Roma ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado disponendo che l’obbligo di versamento degli assegni di mantenimento in favore di moglie e figlie decorresse dal novembre del 2002. 4. P.V., in data 17 marzo 2006, ha adito il Tribunale civile di Roma per ottenere la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, chiedendo altresì che i coniugi provvedessero personalmente al proprio sostentamento e che l’assegno di mantenimento per le figlie fosse ridotto ad euro 400,00 o altra somma ritenuta di giustizia e comunque inferiore a quella attualmente versata di euro 700,00. A.C. si è costituita aderendo alla domanda di scioglimento del matrimonio e chiedendo la ridetexminazione dell’assegno di mantenimento delle figlie in euro 1.200,00 e del proprio in euro 1.500,00, oltre al pagamento nella misura del 100% delle spese straordinarie. 5. Il Tribunale civile di Roma, con sentenza non definitiva n. 17789/2007 ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio, mentre la causa è proseguita per l’istruzione delle ulteriori domande. 6. Con sentenza n. 12198 del 3 giugno 2009, il Tribunale di Roma ha confermato l’affidamento della figlia minore ad entrambi i genitori con assegnazione della casa coniugale alla C. e imposizione a carico del V. di un assegno mensile di mantenimento per le figlie pari a euro 793,00, oltre al pagamento delle spese straordinarie nella misura del 50% e di un assegno divorzile pari a euro 226,55. 7. In data 2 luglio 2010, A.C. ha proposto ricorso davanti alla Corte d’Appello di Roma insistendo nelle proprie domande non accolte in primo grado. P.V. si è costituito proponendo appello incidentale e riportandosi anch’egli alle conclusioni del primo grado. 8. La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1202 del 28 febbraio 2013, ha riformato la sentenza impugnata stabilendo a carico del signor V. la corresponsione di un assegno divorzile in favore della C. di euro 500, 00 e di un assegno di mantenimento in favore della figlia I. di euro 100,00 oltre alla partecipazione del V. alle spese straordinarie, nella misura percentuale stabilita, solo per la figlia S.. Ha confermato nel resto la sentenza di primo grado e ha compensato le spese di lite. 9. Ricorre per cassazione P.V. deducendo: a) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 n. 6 della l. 898/70 nonché omesso esame su un fatto decisivo per il giudizio circa il riconoscimento dell’assegno divorzile; b) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 nn. 6 e 9 della l. 878/70, degli artt. 2697 c.c. e 116 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e relativo alla situazione lavorativa e reddituale della signora C.; c) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5 nn. 6 e 9 della l. 878/70, degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e relativo alla capacità reddituale del signor V.P.; d) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 155 ter e quinquies c.c. 10. Si difende con controricorso A.C. chiedendo l’inammissibilità o comunque il rigetto del ricorso. Ritenuto che 11. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la Corte di appello si sia limitata a descrivere sommariamente le attuali precarie condizioni economiche della C. nulla osservando sui mutamenti intervenuti rispetto all’epoca della cessazione della convivenza ed astenendosi da qualsiasi accertamento in ordine alla situazione economica pregressa del V., con la conseguenza che nulla è dato sapere relativamente alle risorse reddituali e patrimoniali di cui godeva complessivamente il nucleo familiare prima della sua dissoluzione. 12. Il motivo è inanmissíbile per la sua genericità che non consente di verificare se vi sia stata una omissione di esame di fatti decisivi da parte della Corte di appello che ha mosso la sua valutazione partendo proprio dai criteri indicati dall’art. 5 della legge n. 898/1970. 13. Con il secondo motivo di ricorso si rileva il mancato esame, ai fini di una effettiva comparazione delle situazioni economiche dei due coniugi, del reddito percepito dalla C. a titolo di lavoro part time pari a 1.000 euro mensili. 14. Il motivo è infondato perché la Corte di appello ha preso in esame tale circostanza ma anche della deduzione della C. sul suo licenziamento e quindi sullo svolgimento di lavori saltuari che le hanno consentito solo una modesta integrazione del reddito proveniente dalla corresponsione dell’assegno di mantenimento. 15. Con il terzo motivo di ricorso si contestano le affermazioni della Corte di appello circa la attribuibilità, del tutto indimostrata, di un reddito superiore a quello dichiarato a fini fiscali di 15/16.000 euro annui, la disponibilità di una casa di proprietà, oltre a quella assegnata alla C., e la non incidenza sostanziale della nascita della terza figlia, L., sulle sue condizioni economiche. 16. Il motivo è infondato. La Corte di appello ha desunto la esistenza di un reddito sicuramente superiore a quello dichiarato a fini fiscali dal tenore di vita e dalla decisiva circostanza per cui il V., che svolge un’attività imprenditoriale, ha continuato a corrispondere un contributo complessivo mensile alla C. e alle figlie di circa 1.000 euro mensili nonostante la nascita nel 2005 di una nuova figlia. Quanto al rilievo della disponibilità di un’altra casa di proprietà è irrilevante che la proprietà sia del V. o della sua compagna attuale perché tale circostanza è stata valutata dalla Corte di appello per escludere che il V. debba fare fronte a un canone di locazione per soddisfare le esigenze abitative del suo nuovo nucleo familiare. 17. Con íl quarto motivo di ricorso il ricorrente contesta la decisione della Corte di appello rilevando che il raggiungimento della maggiore età da parte della figlia I. e l’acquisizione dell’indipendenza economica, attestato dalla motivazione della Corte di appello, avrebbero dovuto far considerare estinto l’obbligo di mantenimento anche se nella misura ridotta fissata dalla Corte distrettuale. 18. Il motivo è fondato dovendosi effettivamente ritenere cessato l’obbligo al mantenimento della figlia maggiorenne a seguito del raggiungimento da parte di quest’ultima di una condizione di indipendenza economica (cfr. Case. civ. sezione I n. 19589 del 26 settembre 2011). 19. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso e il rigetto dei primi tre motivi. La Corte, letta la memoria del ricorrente (che ripropone le censure oggetto del ricorso insistendo quanto ai primi tre motivi nella contestazione della decisione di merito e nella deduzione di omesso esame di fatti che sono stati invece presi considerazione dalla Corte di appello), condivide tale relazione e pertanto ritiene che debbano essere respinti i primi tre motivi di ricorso e accolto il quarto motivo con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte di appello di Roma che in diversa composizione deciderà conformemente alla giurisprudenza in materia di cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne che ha raggiunto l’indipendenza economica sulla base delle emergenze istruttorie. Alla Corte di appello va anche rimessa la decisione sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso. Accoglie il quarto motivo cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. [1] Cass. ord. n. 17738/2015.