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L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).




Separazione: le spese straordinarie da rimborsare se non determinate richiedono un accertamento



Separazione: le spese straordinarie da rimborsare se non determinate richiedono un accertamento
La determinazione dell’entità delle spese straordinarie che il coniuge non affidatario deve restituire quando la loro misura non risulti previamente determinata richiede un accertamento circa l’insorgenza dell’obbligo di pagamento e l’esatto ammontare della spesa, da effettuarsi in comparazione con quanto stabilito dal giudice della separazione

E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con la sentenza del 18 gennaio 2017, n. 1161, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso dal Tribunale di Fermo con la sentenza n. 518/2015.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che MEVIA ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Fermo, giudice dell’appello sulla sentenza del Giudice di pace di Sant’Elpidio a Mare, ha rideterminato in euro 300,00 l’ammontare delle spese concretamente dalla stessa ripetibili nei riguardi del marito TIZIO, perché straordinarie in rapporto al mantenimento del figlio, in base al provvedimento presidenziale adottato nell’ambito del giudizio di separazione dei coniugi.
Il Tribunale di Fermo, premesso che il credito vantato dall’attrice nei riguardi del marito, in base al provvedimento presidenziale, era limitato al rimborso del 50 % delle spese straordinarie, ha ritenuto che, tali potessero essere considerate unicamente:
  • le spese mediche,
  • le spese per riparazione dello scooter e dell’autovettura e
  • le spese per contravvenzione stradale.
Ha invece escluso la natura straordinarie delle spese per:
  • abbonamento Internet;
  • trasporti scolastici;
  • acquisto di libri;
  • assicurazione e al tagliando dell’autovettura.
La ricorrente ha articolato due motivi.
I motivi di ricorso
Con il primo motivo di ricorso MEVIA denunzia la nullità della sentenza per incompatibilità del magistrato che l’ha pronunciata, egli essendo stato il medesimo magistrato che aveva istruito la causa di separazione giudiziale.
Col secondo motivo di ricorso si denunzia invece l’erronea valutazione della sentenza sulla natura straordinaria delle spese richieste, e la contraddittorietà tra le diverse pronunce dello stesso tribunale, atteso che straordinarie non possono essere ritenute solo le spese imprevedibili e imponderabili.
La decisione
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 1161/2017 ha ritenuto infondato il primo motivo ed inammissibile il secondo ed ha rigettato il ricorso.
Il motivo è destituito di qualunque fondamento, non essendo la circostanza determinativa di nullità.
Quanto al secondo motivo, esso è inammissibile perché del tutto generico.
Precisa la Suprema Corte che “la controversia relativa al rimborso della quota parte delle spese straordinarie relative ai figli, sostenute dal coniuge affidatario è soggetta ai criteri ordinari di competenza, in quanto diversa da quella concernente il regolamento dei rapporti tra coniugi” (v. Corte di Cassazione, Sezione I, n. 18240/2006; e sentenza n. 6297-2014).
Essa, “nei casi in cui le somme non risultino previamente determinate o determinabili in base al titolo con un semplice calcolo aritmetico, è anche caratterizzata dalla necessità di un accertamento circa l’insorgenza dell’obbligo di pagamento e l’esatto ammontare della spesa, da effettuarsi in comparazione con quanto stabilito dal giudice della separazione”.
Nel caso di specie il Tribunale ha stabilito che l’ammontare delle spese corrispondenti al titolo, e come tali ripetibili verso il coniuge non affidatario, era pari all’importo di euro 300,00.
Ne consegue che la ratio decidendi si è basata su un riconoscimento forfetario di stampo equitativo, e né la premessa del ragionamento, né l’astratta meritevolezza del ricorso a una simile metodologia di computo sono stati oggetto di specifica censura.
La Cassazione ha, pertanto La Corte dichiarato il ricorso inammissibile.

Affido esclusivo dei figli: solo se nell'interesse del minore



Affido esclusivo dei figli: solo se nell'interesse del minore
La Cassazione ritorna su un tema molto dibattuto riaffermando la regola dell'affidamento condiviso e i limiti di quello esclusivo ai casi di estrema necessità

La Corte di Cassazione, 1ma sezione civile, con sentenza n. 27, depositata il 3 gennaio 2017 (qui sotto allegata), pone nuovamente l'attenzione su un argomento molto dibattuto negli ultimi anni. Come ormai noto la normativa in vigore in materia di minori prevede la regola dell'affidamento condiviso, limitando i casi di affidamento esclusivo solo in casi di estrema necessità. Il ricorso per il quale è intervenuta la sentenza oggetto di considerazione riguarda l'impugnazione di pronuncia della Corte di Appello di Brescia del 2015 con la quale veniva rigettato l'Appello avverso sentenza del Tribunale di Bergamo che, giudicando in materia di separazione, aveva affidato in via esclusiva al padre i due figli minori della coppia, fondando l'esigenza di tale tipologia di affido sulla circostanza che la particolare conflittualità esistente nel rapporto tra i coniugi avrebbe ostacolato la loro capacità di assumere scelte comuni e, quindi, un affidamento condiviso avrebbe creato una situazione di stallo nelle decisioni riguardanti i figli.
La Corte di Cassazione ha ritenuto assolutamente inconsistente la motivazione argomentata dal Giudice di primo di grado ed avallata dalla Corte di Appello che aveva rigettato l'impugnazione. Ritiene, difatti la Corte di Cassazione che l'affidamento esclusivo non garantisce assolutamente una minore litigiosità tra i genitori, né tutela l'interesse del figlio. E' necessario, invece, procedere ad una valutazione esclusivamente diretta a verifica l'idoneità del genitore a svolgere le sue funzioni al fine di poter, eventualmente, prevedere un affidamento esclusivo, solo ed esclusivamente quando questa manchi del tutto.
Gli Ermellini confermano l'ormai consolidata giurisprudenza secondo la quale l'affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori costituisce il regime ordinario di affidamento e, tale regime, non è impedito dalla conflittualità dei genitori, a meno che tale regime non sia pregiudizievole negli interessi dei figli, alterando e ponendo in serio pericolo il loro equilibrio e il loro sviluppo psico-fisico. Nel caso di specie, invece, alcun pregiudizio era potenzialmente arrecato e nessuna indagine diretta a verificarlo era stata effettuata, limitandosi il Giudice di Primo Grado a valutare semplicemente la conflittualità dei coniugi nell'ambito del giudizio di separazione e giustificando la tipologia di affido in ragione della necessità di assicurazione una rapidità di decisione riguardanti la prole, che sarebbe venuta meno a causa della stessa (nello stesso senso anche Cassazione n.1777 e n. 5108 del 2012, n.24526 del 2010 e 16593 del 2008).

L’abbandono della casa coniugale



L’abbandono della casa coniugale
Il coniuge che abbandona la casa coniugale rischia l’addebito salvo che vi sia una giusta causa o un accordo con l’altro.
Uno dei principali doveri che scattano dopo il matrimonio è quello di coabitazione: marito e moglie devono vivere sotto lo stesso tetto (salvo, ovviamente, accordi diversi) e non è consentito lasciare quella che, in gergo giuridico, viene detta casa coniugalesenza una giusta causa. Come, pertanto, per l’infedeltà, anche nel caso di abbandono del tetto può essere chiesta la separazione con addebito.
Questa è la regola generale. Ma come ogni regola ci sono le eccezioni. Eccezioni che possono essere legate, come detto sopra, a un accordo tra i coniugi (si pensi al caso in cui la famiglia decida di vivere qualche anno separata per consentire, a uno dei due, di fare carriera accettando un trasferimento particolarmente lontano). Lo stesso accordo potrebbe consentire la separazione di fatto della coppia quando marito e moglie abbiano ormai preso consapevole cognizione del fatto che l’unione si è ormai disgregata e si autorizzano l’un l’altro a vivere in una casa diversa. A tal fine, vista la delicatezza della situazione (non sempre quando la coppia si separa lo fa in modo amichevole), sarà più opportuno redigere un accordo per iscritto.
In ultimo, una giusta causa per poter andare via di casa è il comportamento pericoloso del coniuge che metta a repentaglio la sicurezza fisica o psicologia dell’altro. È quanto ha ricordato il Tribunale di Cassino con una recente sentenza [1]. Ma procediamo con ordine.
L’abbandono della casa coniugale
In generale se un coniuge si allontana dalla casa familiare senza una giusta causa o senza il consenso dell’altro, confermando la volontà di non farvi più ritorno, viola l’obbligo di coabitazione. In tal caso, l’altro coniuge può ottenere la separazione e chiedere al giudice che ne addebiti la causa all’ex. È quello che si definisce addebito. Il coniuge cui sia addebitata la separazione non può pretendere il mantenimento anche se ha un reddito più basso.

Non si può abbandonare la casa coniugale neanche se si ha intenzione di chiedere, di lì a breve, la separazione. In tal caso, infatti, se non c’è il consenso dell’altro coniuge, si subisce ugualmente l’addebito. Solo l’esistenza di una crisi già in atto, evidente e irreversibile, che dipenda da cause diverse e anteriori dall’abbandono del tetto, giustifica l’allontanamento da casa. Tuttavia, anche in questo caso, per evitare problemi di carattere processuale, è meglio che i coniugi sottoscrivano un accordo con cui si autorizzano vicendevolmente a vivere separati.
Quando si può abbandonare la casa e il coniuge
L’allontanamento dalla residenza familiare è possibile solo se vi è una giusta causa. In tale ipotesi non è causa di addebito, anche se manca l’accordo con l’altro coniuge. L’abbandono della casa è consentito, ad esempio:
  • se successivo al deposito della domanda al giudice di separazione o di annullamento o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  • se è determinato da situazioni di fatto, avvenimenti o comportamenti di altri (dell’altro coniuge o di suoi familiari) incompatibili con il protrarsi della convivenza, oppure quando l’abbandono consegue a una situazione già intollerabile o compromessa quando cioè c’è una crisi matrimoniale già in atto che non consente la prosecuzione della vita in comune [2].
Ecco qualche esempio di allontanamento da casa per giusto motivo:
  • frequenti litigi domestici tra un coniuge e la suocera convivente, situazione accettata dall’altro coniuge, che ha però portato nel tempo a un conseguente e progressivo deterioramento dei rapporti sessuali tra i coniugi;
  • accesa conflittualità tra i coniugi suscettibile di arrecare danni psichici ai figli.
Violenze e mobbing familiare
Un altro esempio di abbandono legittimo della casa è quello necessario a sfuggire al «mobbing familiare»: la colpa della fine del matrimonio va piuttosto al coniuge che adotta la condotta violenta e prevaricatrice, condotta che costringe l’altro ad allontanarsi. E non conta che le sopraffazioni siano state tollerate per diversi anni e solo dopo molto tempo le si sia denunciate: basta anche un solo episodio di percosse, infatti, a determinare l’intollerabilità della convivenza.
Il «mobbing» familiare – per quanto il termine sia preso al prestito dal mondo del lavoro – sta a indicare una mancanza di equilibrio dei ruoli nel rapporto matrimoniale tale da configurare la violazione del principio di parità e la lesione della dignità della persona.
Non c’è peraltro bisogno che la violenza si risolva nell’uso delle mani: anche la violenza psicologica, i maltrattamenti, le offese e le prevaricazioni possono essere causa di mobbing familiare e consentire al coniuge di andare via di casa senza per questo aver bisogno del consenso, né tantomeno rischiare l’addebito.

Mantenimento: se lui fugge all'estero?



Mantenimento: se lui fugge all'estero?
La sentenza che pone fine al legame coniugale è titolo esecutivo per la riscossione forzata
Domanda: "Cosa accade se l'ex coniuge tenuto al mantenimento fugge all'estero e non paga quanto dovuto?"
Risposta: "Il diritto al mantenimento sorge in capo al beneficiario in forza della sentenza con la quale sono state stabilite le condizioni che devono regolare i rapporti tra ex coniugi e tra questi e i figli dopo la fine del legame coniugale.
Se quindi il coniuge onerato del pagamento dell'assegno fugge all'estero e non provvede alla sua obbligazione, si potrà utilizzare tale sentenza come titolo esecutivo al fine di riscuotere coattivamente il credito maturato, che corrisponde alla somma dovuta ogni mese, moltiplicata per i mesi in cui vi è stata omissione e maggiorata di interessi e rivalutazione Istat.
Chiaramente, l'ex deve possedere beni, conti o entrate economiche in Italia per rendere concreto il recupero forzato di quanto dovuto e non pagato.
Se, poi, beneficiari delle somme sono i figli, si ricorda che in alcuni casi potrebbe essere opportuno rivolgersi al giudice minorile per valutare se, dinanzi al totale disinteresse per i piccoli da parte del genitore fuggito all'estero (sia da un punto di vista morale che da un punto di vista materiale), è giusto che questi continui ad esercitare la responsabilità genitoriale.
Si ricorda, infine, che dinanzi a un tal genere di situazioni, è anche possibile attivare la tutela penale ai sensi dell'articolo 570 c.p., che punisce la violazione degli obblighi di assistenza familiare. Tuttavia, con tutte le difficoltà che si incontrano dinanzi alla fuga all'estero del responsabile del reato".