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L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
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SEPARAZIONE E DIVORZIO - Cassazione: è reato prendere a parolacce la moglie


Cassazione: è reato prendere a parolacce la moglie
Integrato il reato di maltrattamenti a carico del coniuge che usa epiteti volgari nei confronti dell'altro
Rivolgersi al coniuge con epiteti volgari può costare una condanna per il reato di maltrattamenti in famiglia. È quanto si ricava dalla sentenza n. 54053/2018 depositata oggi dalla Cassazione (sotto allegata), la quale ha confermato la condanna per il reato ex art. 572 del codice penalenei confronti di un marito che aveva usato "epiteti volgari" nei confronti della moglie e in un caso ne aveva provocato la caduta a seguito di un litigio.
A nulla sono valse le obiezioni della difesa dell'uomo che lamentava violazione di legge, per avere il giudice di merito stimato integrato il reato sebbene si fosse trattato di "quattro episodi sporadici commessi in un brevissimo arco temporale".
Per la sesta sezione penale della Cassazione, infatti, la sentenza impugnata è ineccepibile sia in punto di ricostruzione dei fatti che della conclusione in diritto. Integra l'elemento oggettivo del delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) ricordano dal Palazzaccio, "il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se per un limitato periodo di tempo, idonea a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa della parte offesa".

SEPARAZIONE - DIVORZIO: ASSEGNO DI MANTENIMENTO


Abolito anche l’assegno di mantenimento dopo la separazione
Sentenza “Grilli” della Cassazione estesa anche alla separazione: abbandonato il criterio del tenore di vita.
Se la moglie è autosufficiente non va mantenuta sin dal momento della separazione. E non importa se il reddito del marito è significativamente più elevato. Conta la capacità dei coniugi, dopo la cessazione dell’unione, di badare a se stessi con i propri mezzi: capacità che, se sussistente, esclude il diritto a percepire qualsiasi assegno da parte dell’ex più ricco. È questa sostanzialmente la massima che si ricava da una recente e interessante pronuncia della Corte di Appello di Roma [1]. Il decreto, pubblicato appena un mese fa, recepisce l’orientamento appena sposato dalla Cassazione in materia di assegno di divorzio [2] e lo estende anche alla precedente fase della separazione. In pratica il nuovo principio in materia di “alimenti”, che fino a ieri si riteneva valido solo dal momento del divorzio, stando ai giudici della capitale va applicato sin dalla separazione. Non c’è che dire: è davvero un segno dei tempi e di come la vecchia funzione “assistenziale” che aveva il matrimonio sia definitivamente tramontata. Ma procediamo con ordine e vediamo come e perché si può ritenere abolito anche l’assegno di mantenimento dopo la separazione.
Separazione e divorzio: com’erano ieri
Prima del 10 maggio 2017, non appena moglie e marito si separavano il giudice valutava chi dei due avesse un reddito più basso e, per colmare il divario con quello dell’altro coniuge, ordinava a quest’ultimo di versare un assegno di mantenimento. Lo scopo era quello di equilibrare le due posizioni, consentendo ad entrambi – per quanto possibile – di mantenere «lo stesso tenore di vita» che avevano durante l’unione. Situazione impossibile, di fatto, perché con la separazione le spese vive raddoppiano.
Lo stesso criterio veniva seguito quando, dopo un anno dalla separazione (o sei mesi in caso di procedimento consensuale) la coppia divorziava. Anche l’assegno divorzile, infatti, doveva tenere a garantire «lo stesso tenore di vita».
Divorzio: cosa è cambiato con la sentenza Grilli
Con la famosa sentenza “Grilli” dello scorso 10 maggio, la Cassazione ha riscritto le regole sull’assegno di divorzio. Scopo del contributo mensile successivo al divorzio – afferma la Corte – non è più garantire (vita natural durante) lo stesso «tenore di vita» goduto durante il matrimonio (se così fosse, le nozze sarebbero un’assicurazione), ma solo l’autosufficienza economica. Pertanto, chi ha la possibilità di mantenersi con le proprie forze, anche se ha un reddito molto più basso dell’ex coniuge, non può chiedere alcun contributo. Si pensi al caso della moglie con uno stipendio di mille euro e l’ex marito di 10mila: nulla spetta più alla prima.
Restano però le vecchie regole per l’assegno di mantenimento: onde non far trovare, di punto in bianco, il coniuge più debole economicamente con la necessità di trovare una sistemazione e un sistema per campare, finché la coppia non è divorziata resta l’obbligo di pagare un assegno rapportato al vecchio tenore di vita.
Separazione: abolito il tenore di vita
La particolarità della sentenza della Corte di appello di Roma è di aver confrontato due situazioni in cui i due coniugi presentavano due redditi tra loro diversi, dove la moglie aveva uno stipendio più basso del marito. Ma poiché questa risultava titolare di immobili, è stata ritenuta comunque «autosufficiente economicamente» e, pertanto, le è stato negato anche l’assegno di mantenimento.
La moglie è stata considerata in grado «per capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, dimostrata e conseguita già prima del matrimonio e successivamente mantenuta, di provvedere con i propri mezzi a se stessa». Niente più assegno di mantenimento, quindi. E anzi, la revoca è stata disposta con decorrenza dall’ordinanza presidenziale reclamata e condanna la donna alle spese del grado di reclamo: si è così aperta la via perché il ricorrente ottenga la restituzione di quanto pagato sino ad allora e non dovuto per mancanza dei presupposti.
note
[1] C. App. Roma decreto del 5.12.2017.
[2] Cass. sent. n. 11504/2017.