Informazioni personali

La mia foto
Pescara, PE, Italy
Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).




La figura del genitore “non collocatario”: una bigenitorialità che rischia di naufragrare


La figura del genitore “non collocatario”: una bigenitorialità che rischia di naufragrare
E’ tutta giurisprudenziale la figura del genitore “non collocatario”.
La riforma del diritto di famiglia, portando avanti la bandiera della bigenitorialità e della preferenza per l’affido condiviso, piuttosto che per le forme di affido esclusivo, tendeva a condurre una vera e propria rivoluzione culturale, prima ancora che una drastica modifica di carattere legislativo.
Sia sufficiente leggere il disposto del primo comma dell’articolo 337 ter del codice civile, laddove si evidenzia quanto appresso:
“Il figlio minore ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.
La declaratoria di legge, però, si scontra con la prassi giurisprudenziale e con la quotidianità dei rapporti da regolamentare, avuto riguardo il miglior riassetto della vita dei figli minori all’esito della crisi di una coppia.
Spesso i tribunali antepongono il concetto di “stabilità” del minore, che renda più serena la giornata del fanciullo, evitando stress e traumi da eccessivi spostamenti e cambi di dimora, piuttosto che un concetto di pari tempi di visita tra genitore collocatario e genitore non collocatario.
Anche se in molte situazioni sarebbe utopico realizzare in modo effettivo una pari presenza dei genitori nella vita del figlio minore, esistono numerose altre situazioni nelle quali il buon senso, prim’ancora che un’attenta lettura della situazione fattuale da parte del giudice, imporrebbe un maggior sforzo nella regolamentazione del regime di visita e di pernotto.
L’evoluzione sociale e la mutevolezza dei rapporti, propria dei nostri tempi, impongono alla giurisprudenza doverose prese di coscienza, al fine di non limitare la vita del fanciullo presso il genitore “collocatario”, riducendo la presenza del genitore che “collocatario” non è, ad una mera eccezione, cosa che va ad eludere in modo clamoroso il dettato del primo comma del sovra richiamato art. 337 ter comma I del codice civile.
In questo contesto, si inseriscono numerose pronunce della Corte Europea dei diritti dell’uomo, che spesso ha sanzionato il nostro paese perché i tribunali non riescono a garantire una effettiva bigenitorialità, allorquando i diritti di visita del genitore non collocatario non vengono rispettati da parte dell’altro genitore, e l’autorità giudiziale sarebbe chiamata a provvedere sanzionando tali condotte inadempienti e ripristinando i principi voluti dall’art. 337 bis del codice civile.
In particolare, la Corte Europea tiene sempre a salvaguardare il disposto dell’articolo 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali:
“Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza”.
I Giudici di Strasburgo in numerose pronunce evidenziano come il sistema giuridico e burocratico italiano (con particolare riferimento all’ausilio degli psichiatri ed ai servizi sociali), appaiono del tutto inadeguati per garantire in modo equo e veloce, i diritti dei genitori separati nei casi di conflittualità. Soprattutto la velocità nella definizione del conflitto, assume paradigma fondamentale, onde evitare che molte situazioni possano degenerare in un conflitto infinito, con gravissimo danno per il fanciullo, prim’ancora che per il genitore che si vede di fatto escluso dalla prosecuzione dei rapporti regolari con i figli minori.

Tradimento in fase di separazione


Tradimento in fase di separazione
Si può tradire durante la causa di separazione? L’infedeltà dopo che i ricorsi sono stati depositati può rilevare per l’addebito?
Potrebbe succedere che una coppia non vada più d’accordo e che, perciò, decida di separarsi. Dal momento della separazione, come noto, i coniugi sono liberi di vivere separatamente e di iniziare nuove relazioni con altre persone. La separazione, prima ancora del divorzio, infatti cancella l’obbligo di fedeltà. Ma cosa accade nel caso in cui si scopra un tradimento in fase di separazione? Se, ad esempio, il marito si accorge solo dopo aver depositato il proprio atto in tribunale che la moglie in realtà ha un altro uomo e che, probabilmente, proprio per questo è stata distante e anaffettiva, può ugualmente chiedere l’addebito nei suoi confronti? Si può tradire durante la causa di separazione?
Sul punto, è intervenuta più volte la giurisprudenza. La Cassazione, in particolare, ha avuto modo di chiarire quando l’infedeltà è causa di responsabilità e quando, invece, non implica alcuna conseguenza. 
In questo articolo, cercheremo di analizzare proprio tale fenomeno e di comprendere se il tradimento in fase di separazione può determinare una condanna all’addebito o meno. Ma procediamo con ordine.
Cosa succede a chi tradisce la moglie o il marito?
Uno dei doveri del matrimonio è la fedeltà. La violazione di tale obbligo, però, non comporta alcuna sanzione sul piano civile, come ad esempio il risarcimento del danno, neanche quando causa sofferenze psicologiche e morali. Sono esclusi solo i casi in cui l’infedeltà, per le modalità pubbliche con cui viene realizzata, arrechi un pregiudizio all’onore e alla reputazione del coniuge: quando cioè, nell’ambiente esterno, è a tutti noto il legame extraconiugale. Tale situazione, infatti, arreca un danno all’immagine della vittima che potrà chiedere un risarcimento del danno
Ma allora cosa rischia concretamente chi tradisce il marito o la moglie? Le uniche conseguenze dell’infedeltà sono due e operano solo sul piano civile: 
  • la perdita del diritto al mantenimento
  • la perdita dei diritti successori
Così se l’ex coniuge dovesse morire dopo la separazione, ma prima del divorzio, il traditore non sarà considerato suo erede. Allo stesso modo, quest’ultimo, anche se privo di reddito o comunque con uno stipendio molto basso, non potrà rivendicare l’assegno di divorzio. 
Quelle che abbiamo appena descritto sono le conseguenze di un tradimento rivelato durante il matrimonio. In tali casi, infatti, accertato nella causa di separazione che il matrimonio è cessato solo a causa della relazione extraconiugale di uno dei due coniugi, il giudice pronuncia il cosiddetto “addebito” ossia dichiara responsabile il coniuge infedele a cui si applicheranno le due conseguenze di cui abbiamo appena parlato.
Dopo la separazione e prima ancora del divorzio, ciascun coniuge può intraprendere nuove relazioni sentimentali o anche solo fisiche. Non conta, quindi, il fatto che il matrimonio non sia stato definitivamente sciolto. Difatti, l’obbligo di fedeltà cessa già a partire dalla data di pubblicazione della sentenza di separazione.
Questo non toglie però che, ancor prima di questo momento, i due coniugi potrebbero già autorizzarsi a vicenda – firmando un apposito documento – a vivere separatamente e a intraprendere nuove relazioni. Un patto di questo tipo è stato ritenuto lecito.
Che succede a chi tradisce durante la causa di separazione?
Secondo quanto più volte affermato dalla giurisprudenza, il tradimento comporta l’addebito solo quando viene accertato che è stato questo l’effettiva causa dello scioglimento del matrimonio e non un’altra precedente. 
Se, quindi, risulta che la coppia era già in crisi prima ancora dell’inizio della relazione adulterina da parte di uno dei due coniugi e che, pertanto, l’unione coniugale era già cessata – al di là della volontà di procedere già a una formale separazione – allora l’infedeltà non è causa di addebito e chi ha tradito non subirà conseguenze. Conseguenze che, come abbiamo appena anticipato, possono però consistere solo nell’addebito ossia nella perdita del diritto al mantenimento e all’eredità. 
Questi concetti sono stati affermati dalla Cassazione con riferimento al tradimento in fase di separazione. Non vi è dubbio che, se i due coniugi stanno provvedendo a separarsi è perché ritengono ormai conclusa l’esperienza matrimoniale e che l’unione “materiale e spirituale” che dovrebbe legarli sia cessata. Dunque, il tradimento avvenuto durante la separazione non è causa di addebito perché non è questo il principale e originario motivo per il quale i coniugi si lasciano. Esso è, piuttosto, la conseguenza di una disunione ormai conclamata. 
Da ciò deriva che chi tradisce durante il giudizio di separazione, o ancor di più di divorzio, non subisce conseguenze. 
note
[1] Cass. sent. n. 13431/2008.