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Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).




AFFIDO CONDIVISO: SE IL GENITORE COLLOCATARIO SI TRASFERISCE.



Affido condiviso: se il genitore collocatario si trasferisce i bambini lo seguono cambiando scuola
Tribunale di Roma: la crescita dei bambini non è ostacolata dalla discontinuità dei rapporti con i compagni di classe
 - L'iscrizione ad una scuola elementare diversa, dopo che i minori si siano trasferiti insieme alla madre collocataria, non è un ostacolo allo sviluppo armonioso della crescita dei bambini. Anzi, ciò consente ai piccoli di potenziare le proprie risorse di autonomia e di adattamento nel mondo dell'infanzia. L'unico legame assoluto e meritevole di tutela è ancora solo quello della famiglia.  

Questo quanto stabilito dal Tribunale di Roma, sezione prima civile (pres. rel. Galterio) in un decreto depositato il 27 agosto 2015.

La controversia che ha originato la decisione, romana dalla richiesta di autorizzazione al cambio di domicilio dei figli minori avanzata dalla madre presso cui i piccoli avevano residenza in regime di affido condiviso. La donna riteneva necessario trovare un nuovo appartamento adeguato alle esigenze abitative proprie e dei bambini.

Da ciò consegue l'iscrizione dei minori ad una nuova scuola elementare situata nei pressi della nuova abitazione, una decisione a cui si oppone il padre eccependo che i bambini risultano perfettamente inseriti nella scuola ubicata nel quartiere dove risiedono lui e la nonna.

Il resistente evidenzia la maggiore distanza del nuovo quartiere rispetto a quello dove i bambini avrebbero vissuto, luogo in cui si sarebbero radicate le relazioni sociali dei piccoli e le contestuali attività extrascolastiche. Per tali ragioni, il padre richiede il collocamento prevalente dei figli presso di sé.

I giudici di merito, tuttavia, ritengono non giustificata la richiesta di mutamento di collocazione presso il padre, considerata la necessità di preservare i minori da possibili traumi da sradicamento dal'habitat materno e soprattutto dalla presenza della madre con cui hanno vissuto ed alla quale sono simbioticamente legati. Una circostanza emersa già durante la fase degli accordi raggiunti all'atto della cessazione della convivenza more uxorio della coppia.

L'esercizio del diritto di visita, a cui corrisponde quello bi-genitorialità, non viene ostacolato dal trasferimento, ma solo reso più gravoso a causa dei tempi di percorrenza tra le due abitazioni considerato il traffico di una metropoli come Roma.

Per quanto riguarda l'iscrizione ad una nuova scuola nel diverso quartiere di residenza, il Collegio ritiene che nessun problema di continuità scolastica si pone per la figlia minore che inizia nel corrente anno il ciclo elementare.

Per il fratello maggiore, che ha appena terminato la seconda elementare, il mutamento rappresenterebbe un'esperienza formativa in considerazione della tendenza educativa ormai diffusa anche in Italia (di ispirazione anglosassone) che tende a potenziare le capacità di integrazione e autonomia dei bambini nel mondo dell'infanzia.

I bambini, futuri cittadini dell'Europa, sono spinti a sviluppare attitudini di elasticità e disinvoltura, così come richiesto dal processo di globalizzazione in corso. Si tende in tal modo a sviluppare un ambiente sociale sempre più internazionale, così come la crescita di una società multietnica, anche in paesi più marcatamente di confine.

La crescita dei bambini non è neppure ostacolata dalla non continuità dei rapporti con i compagni di classe, considerato che nella fase della prima infanzia non sussistono i presupposti per il consolidamento di effettivi rapporti amicali.

Il Tribunale, pertanto, autorizza il cambio di residenza dei bambini e l'iscrizione dei medesimi presso la scuola pubblica di zona, confermando la residenza prevalente presso la madre in regime di affido condiviso. 

FIGLIA A CARICO DEL PADRE



Senza mantenimento la figlia torna a carico del padre
L’ex marito di mia figlia non le corrisponde l’assegno di mantenimento: essendo lei disoccupata e non avendo lei alcun reddito, posso metterla nello stato di famiglia e fruire della detrazione come familiare a carico?
 L’assegno di mantenimento per il coniuge disposto dal giudice è deducibile dal reddito complessivo del soggetto erogante [1] e costituisce reddito per il beneficiario. Per poter essere considerati “a carico” è necessario inoltre che il familiare non abbia un reddito superiore a € 2.840,51 al lordo degli oneri deducibili (leggi “Il figlio sposato può essere a carico”).
Pertanto, nel caso della figlia sposata e separata, anche se non ancora divorziata, tuttavia non occupata e senza alcun reddito, e quindi senza anche la corresponsione dell’assegno di mantenimento disposto dal giudice della separazione, è possibile per il padre fruire della detrazione fiscale per figlia fiscalmente a carico.
 La detrazione per figli a carico spetta a prescindere dall’età dei figli e dal fatto che questi convivano o meno con i genitori [2]. Quindi, ben potrebbe essere che il figlio risulti ancora nello stato di famiglia del padre, anche se con residenza e domicilio diverso.
 [1] Art. 10, comma 1, lettera c, del Dpr 917/1986.
[2] Ag. Entrate circolare n. 15/E del 16.03.2007.

DIVORZIO BREVE.



Divorzio breve: di tutto e di più.

Più veloce il divorzio.
Premessa.
Dopo anni che giornali e blog giuridici ne parlano completamente a sproposito, diffondendo false informazioni e creando insensate aspettative, finalmente ieri il parlamento ha in effetti approvato in via definitiva la legge sul divorzio breve.
La legge è entrata in vigore il giorno 26 maggio 2015.
Per la promulgazione e la pubblicazione non sono previsti termini rigorosi, di solito sono cose che avvengono in una settimana o due, con la conseguenza che per poter sfruttare la nuova legge si dovrà aspettare, in tutto, circa un mese.
Vediamo adesso insieme i principali aspetti della nuova legge, il cui testo definitivo comunque riportiamo nell’ultimo paragrafo, per comodità e completezza di lettura.
Chi può sfruttare la nuova legge.
La legge sul divorzio breve, per sua stessa previsione, si applica anche alle persone che si sono separate in precedenza. Nè avrebbe avuto alcun senso restringerla solo a quelle che si fossero separate in seguito…
Quindi, se vi siete separati nel vigore della vecchia normativa, che ci sarà ancora come abbiamo visto per un altro mese, potete, o potrete, già divorziare nei termini previsti dalle nuove disposizioni.
La legge non parla di accordi di separazione a seguito di negoziazione assistita (accordi in house), ma è assolutamente ovvio che si applichi anche in quei casi, dove il divorzio, una volta maturati i termini, si può naturalmente peraltro fare con un nuovo accordo in house. Questi accordi non sono menzionati semplicemente perché questa nuova legge sul divorzio breve è stata formulata prima della riforma che ha introdotto gli accordi di negoziazione assistita, avendo avuto come noto un iter molto lungo.
Quali sono i nuovi termini per divorziare.
I termini per fare il divorzio con la nuova legge diventano diversi a seconda della natura della separazione cioè se è avvenuta consensualmente oppure in modo giudiziale.
Nel primo caso, il divorzio si può fare dopo sei mesi. Nel caso invece in cui la separazione fosse stata giudiziale il termine è di un anno.
Lo scopo di questa differenziazione è quello di favorire ancora una volta le soluzioni consensuali, offrendo ai coniugi che si vogliono liberare dal vincolo matrimoniale la possibilità di una strada più rapida, rendendoli così quindi più inclini a fare quei compromessi che sono spesso necessari per raggiungere un accordo di consensualizzazione.
Nel caso della separazione giudiziale, del resto, la nuova legge è destinata ad essere poco rilevante, perché quasi tutte le separazioni giudiziali durano più di tre anni (a volte anche 7, 8, 10 anni o anche di più), per cui in ogni caso per fare il divorzio spesso è necessario aspettare molto più tempo, anche se è vero che i tempi, in alcuni casi, potrebbero abbreviarsi a causa dell’emissione di una sentenza parziale di separazione da parte del giudice.
Il senso del divorzio breve.
Molte persone ritengono che questa nuova legge, che consente di divorziare dopo meno tempo dalla separazione di quanto avveniva precedentemente, abbia indebolito l’istituto del matrimonio.
In realtà, queste osservazioni a mio giudizio sono piuttosto fuori fuoco.
La crisi della famiglia viene dal nostro ordinamento giuridico regolamentata non tanto con l’istituto del divorzio quanto con quello della separazione, che determina, se non il totale venir meno, un netto e grave indebolimento del vincolo matrimoniale, che rimane solo per pochi e limitati aspetti, ma che riguarda persone che non stanno più insieme tra loro, sostanzialmente non si amano più, tanto è vero che, legittimamente, vanno ad abitare in due posti diversi.
È nel momento della separazione che si verifica la crisi della famiglia ed è in questo solo momento che dovrebbero pensare di intervenire coloro che sono interessati alla “robustezza” dell’istituto matrimoniale. Rispetto alla separazione, il divorzio rappresenta solo un sigillo definitivo, apposto su una situazione problematica già verificatasi precedentemente.
Vediamo il fenomeno da un punto di vista statistico, per così dire.
Ormai, sono 18 anni che esercito la professione forense; in questo periodo, ho avuto occasione di seguire centinaia di crisi familiari sfociate poi nella separazione. Ebbene, di tutte le crisi poi giunte alla separazione in concreto, che sono la pressoché totalità, solo in un caso si è avuta la riconciliazione.
Per contro, nel periodo che intercorre e tra la pratica di separazione e quella di divorzio si verifica quasi sempre una discrepanza tra la situazione di diritto e quella di fatto, specialmente nei casi in cui, come quasi sempre avviene, uno o entrambi i coniugi si rifanno una famiglia con un’altra persona.
Va ricordato che la rilevanza principale del divorzio è quella successoria: dopo la separazione, ma prima del divorzio, se muore uno dei due coniugi è l’altro che, nonostante la separazione, ne diventa erede. È solo con il divorzio, infatti, che il coniuge, che ormai ha perso questa caratteristica, perde anche la qualità di erede.
Il discorso è proprio che se una persona, magari dopo due anni dalla crisi familiare, si rifà una famiglia con un’altra persona, condividendo tutto con quest’ultima, come avviene appunto quando si fa famiglia, non è giusto che, in caso di suo decesso, sia l’ex coniuge, col quale non ha più da tempo nulla in comune, ad essere chiamato come erede.
Il senso del divorzio breve è proprio questo: quello di eliminare o comunque ridurre notevolmente la possibilità di ingiustizie come questa.
E non è vero che indebolisce l’istituto del matrimonio, perché interviene quando il matrimonio si è già completamente sfasciato quasi sempre in modo irrimediabile.
Come si può tutelare davvero il matrimonio.
Abbiamo visto che il divorzio breve non ha niente a che fare con la “robustezza” o meno dell’istituto matrimoniale.
Come cattolico e credente, sono anche io dispiaciuto della debolezza diffusa e sempre maggiore dell’istituto, ma su un piano ancor più generale sono anche convinto che l’unico motivo per cui due persone debbano stare insieme sia l’amore e che non ce ne siano o possano essere assolutamente altri.
Alcuni pensano di dover stare insieme perché hanno interessi in comune, perché hanno dei figli ancora piccoli, perché comunque credono nel matrimonio e vogliono rispettare l’istituto: ebbene io credo che queste persone in fondo sbaglino. L’unico motivo per restare insieme è amarsi: se non c’è più amore, anche se ci si vuole ancora bene, allora è meglio lasciarsi.
Piuttosto, si deve intervenire prima che le cose e i problemi diventino irrimediabili.
In generale, nessuno dei due partner deve mai dare per scontato l’altro o il rapporto che c’è tra di loro, che deve essere alimentato con costanza, anche con piccole cose, con semplicità.
In caso di problemi, bisogna cercare di comunicare. Siccome,poi, paradossalmente è più facile comunicare con gli estranei che con il proprio partner, la cosa migliore è andare subito a fare terapia di coppia da un bravo consulente. Se la terapia di coppia dovesse fallire, o non dare risultati significativi, provare anche con la mediazione familiare.
È giusto, prima di buttare via un rapporto importante, tentare tutto quello che si può onestamente fare per recuperarlo, ma poi sarà anche giusto, quando sarà diventato chiaro che non ci sono più possibilità residue, prenderne atto e agire di conseguenza.
Queste sono, a mio giudizio, le considerazioni che dovrebbero fare, e i consigli che dovrebbero impartire, coloro che hanno a cuore la tenuta dell’istituto matrimoniale, al posto di accanirsi contro un istituto come il divorzio breve che invece ha poco a che fare con questo tema.
Il testo della legge.
Riportiamo di seguito il testo della legge che, ricordiamo, è definitivo, anche se non è ancora entrato in vigore, nel senso che oramai non potrà essere più modificato.
Per qualsiasi ulteriore informazione, o per chiedere chiarimenti o esprimere un’opinione, potete lasciare un commento qui sotto come al solito.
Art. 1. 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell’articolo 3 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella pro-cedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale.» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dalla notificazione della domanda di separazione. Qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. Nelle separazioni consensuali dei coniugi, il termine di cui al primo periodo è di sei mesi decorrenti dalla data di deposito del ricorso ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi.».
Art. 2. 1. Al secondo comma dell’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio».
Art. 3. 1. All’articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. Qualora i coniugi siano in regime di comunione legale, la domanda di separazione è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini della stessa annotazione».
Art. 4. 1. Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano alle domande di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposte dopo la data di entrata in vigore della presente legge, anche se il proce-dimento di separazione, che costituisce il presupposto della domanda, risulti ancora pendente alla medesima data.