Divorzio breve: di tutto e di più.
Più veloce il divorzio.
Dopo anni che giornali e blog giuridici ne parlano completamente a sproposito, diffondendo false informazioni e creando insensate aspettative, finalmente ieri il parlamento ha in effetti approvato in via definitiva la legge sul divorzio breve.
La legge è entrata in vigore il giorno 26 maggio 2015.
Per la promulgazione e la pubblicazione non sono previsti termini rigorosi, di solito sono cose che avvengono in una settimana o due, con la conseguenza che per poter sfruttare la nuova legge si dovrà aspettare, in tutto, circa un mese.
Vediamo adesso insieme i principali aspetti della nuova legge, il cui testo definitivo comunque riportiamo nell’ultimo paragrafo, per comodità e completezza di lettura.
La legge sul divorzio breve, per sua stessa previsione, si applica anche alle persone che si sono separate in precedenza. Nè avrebbe avuto alcun senso restringerla solo a quelle che si fossero separate in seguito…
Quindi, se vi siete separati nel vigore della vecchia normativa, che ci sarà ancora come abbiamo visto per un altro mese, potete, o potrete, già divorziare nei termini previsti dalle nuove disposizioni.
La legge non parla di accordi di separazione a seguito di negoziazione assistita (accordi in house), ma è assolutamente ovvio che si applichi anche in quei casi, dove il divorzio, una volta maturati i termini, si può naturalmente peraltro fare con un nuovo accordo in house. Questi accordi non sono menzionati semplicemente perché questa nuova legge sul divorzio breve è stata formulata prima della riforma che ha introdotto gli accordi di negoziazione assistita, avendo avuto come noto un iter molto lungo.
I termini per fare il divorzio con la nuova legge diventano diversi a seconda della natura della separazione cioè se è avvenuta consensualmente oppure in modo giudiziale.
Nel primo caso, il divorzio si può fare dopo sei mesi. Nel caso invece in cui la separazione fosse stata giudiziale il termine è di un anno.
Lo scopo di questa differenziazione è quello di favorire ancora una volta le soluzioni consensuali, offrendo ai coniugi che si vogliono liberare dal vincolo matrimoniale la possibilità di una strada più rapida, rendendoli così quindi più inclini a fare quei compromessi che sono spesso necessari per raggiungere un accordo di consensualizzazione.
Nel caso della separazione giudiziale, del resto, la nuova legge è destinata ad essere poco rilevante, perché quasi tutte le separazioni giudiziali durano più di tre anni (a volte anche 7, 8, 10 anni o anche di più), per cui in ogni caso per fare il divorzio spesso è necessario aspettare molto più tempo, anche se è vero che i tempi, in alcuni casi, potrebbero abbreviarsi a causa dell’emissione di una sentenza parziale di separazione da parte del giudice.
Molte persone ritengono che questa nuova legge, che consente di divorziare dopo meno tempo dalla separazione di quanto avveniva precedentemente, abbia indebolito l’istituto del matrimonio.
In realtà, queste osservazioni a mio giudizio sono piuttosto fuori fuoco.
La crisi della famiglia viene dal nostro ordinamento giuridico regolamentata non tanto con l’istituto del divorzio quanto con quello della separazione, che determina, se non il totale venir meno, un netto e grave indebolimento del vincolo matrimoniale, che rimane solo per pochi e limitati aspetti, ma che riguarda persone che non stanno più insieme tra loro, sostanzialmente non si amano più, tanto è vero che, legittimamente, vanno ad abitare in due posti diversi.
È nel momento della separazione che si verifica la crisi della famiglia ed è in questo solo momento che dovrebbero pensare di intervenire coloro che sono interessati alla “robustezza” dell’istituto matrimoniale. Rispetto alla separazione, il divorzio rappresenta solo un sigillo definitivo, apposto su una situazione problematica già verificatasi precedentemente.
Vediamo il fenomeno da un punto di vista statistico, per così dire.
Ormai, sono 18 anni che esercito la professione forense; in questo periodo, ho avuto occasione di seguire centinaia di crisi familiari sfociate poi nella separazione. Ebbene, di tutte le crisi poi giunte alla separazione in concreto, che sono la pressoché totalità, solo in un caso si è avuta la riconciliazione.
Per contro, nel periodo che intercorre e tra la pratica di separazione e quella di divorzio si verifica quasi sempre una discrepanza tra la situazione di diritto e quella di fatto, specialmente nei casi in cui, come quasi sempre avviene, uno o entrambi i coniugi si rifanno una famiglia con un’altra persona.
Va ricordato che la rilevanza principale del divorzio è quella successoria: dopo la separazione, ma prima del divorzio, se muore uno dei due coniugi è l’altro che, nonostante la separazione, ne diventa erede. È solo con il divorzio, infatti, che il coniuge, che ormai ha perso questa caratteristica, perde anche la qualità di erede.
Il discorso è proprio che se una persona, magari dopo due anni dalla crisi familiare, si rifà una famiglia con un’altra persona, condividendo tutto con quest’ultima, come avviene appunto quando si fa famiglia, non è giusto che, in caso di suo decesso, sia l’ex coniuge, col quale non ha più da tempo nulla in comune, ad essere chiamato come erede.
Il senso del divorzio breve è proprio questo: quello di eliminare o comunque ridurre notevolmente la possibilità di ingiustizie come questa.
E non è vero che indebolisce l’istituto del matrimonio, perché interviene quando il matrimonio si è già completamente sfasciato quasi sempre in modo irrimediabile.
Abbiamo visto che il divorzio breve non ha niente a che fare con la “robustezza” o meno dell’istituto matrimoniale.
Come cattolico e credente, sono anche io dispiaciuto della debolezza diffusa e sempre maggiore dell’istituto, ma su un piano ancor più generale sono anche convinto che l’unico motivo per cui due persone debbano stare insieme sia l’amore e che non ce ne siano o possano essere assolutamente altri.
Alcuni pensano di dover stare insieme perché hanno interessi in comune, perché hanno dei figli ancora piccoli, perché comunque credono nel matrimonio e vogliono rispettare l’istituto: ebbene io credo che queste persone in fondo sbaglino. L’unico motivo per restare insieme è amarsi: se non c’è più amore, anche se ci si vuole ancora bene, allora è meglio lasciarsi.
Piuttosto, si deve intervenire prima che le cose e i problemi diventino irrimediabili.
In generale, nessuno dei due partner deve mai dare per scontato l’altro o il rapporto che c’è tra di loro, che deve essere alimentato con costanza, anche con piccole cose, con semplicità.
In caso di problemi, bisogna cercare di comunicare. Siccome,poi, paradossalmente è più facile comunicare con gli estranei che con il proprio partner, la cosa migliore è andare subito a fare terapia di coppia da un bravo consulente. Se la terapia di coppia dovesse fallire, o non dare risultati significativi, provare anche con la mediazione familiare.
È giusto, prima di buttare via un rapporto importante, tentare tutto quello che si può onestamente fare per recuperarlo, ma poi sarà anche giusto, quando sarà diventato chiaro che non ci sono più possibilità residue, prenderne atto e agire di conseguenza.
Queste sono, a mio giudizio, le considerazioni che dovrebbero fare, e i consigli che dovrebbero impartire, coloro che hanno a cuore la tenuta dell’istituto matrimoniale, al posto di accanirsi contro un istituto come il divorzio breve che invece ha poco a che fare con questo tema.
Riportiamo di seguito il testo della legge che, ricordiamo, è definitivo, anche se non è ancora entrato in vigore, nel senso che oramai non potrà essere più modificato.
Per qualsiasi ulteriore informazione, o per chiedere chiarimenti o esprimere un’opinione, potete lasciare un commento qui sotto come al solito.
Art. 1. 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell’articolo 3 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale nella pro-cedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale.» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dalla notificazione della domanda di separazione. Qualora alla data di instaurazione del giudizio di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia ancora pendente il giudizio di separazione con riguardo alle domande accessorie, la causa è assegnata al giudice della separazione personale. Nelle separazioni consensuali dei coniugi, il termine di cui al primo periodo è di sei mesi decorrenti dalla data di deposito del ricorso ovvero dalla data della notificazione del ricorso, qualora esso sia presentato da uno solo dei coniugi.».
Art. 2. 1. Al secondo comma dell’articolo 189 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o di ricorso per la cessazione degli effetti civili o per lo scioglimento del matrimonio».
Art. 3. 1. All’articolo 191 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. Qualora i coniugi siano in regime di comunione legale, la domanda di separazione è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini della stessa annotazione».
Art. 4. 1. Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano alle domande di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio proposte dopo la data di entrata in vigore della presente legge, anche se il proce-dimento di separazione, che costituisce il presupposto della domanda, risulti ancora pendente alla medesima data.