Spese mediche per il minore in affido condiviso: decide il giudice su utilità e sostenibilità
Legittimo il rifiuto di rimborso del coniuge non affidatario se le spese mediche sostenute per il minore non sono state concordate e se alle stesse poteva farsi fronte usufruendo di una convenzione di cui è titolare che avrebbe abbattuto l’entità delle stesse
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con la sentenza del 23 febbraio 2017, n. 4753, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato quanto già deciso dalla Corte d’appello di Roma.
La vicenda
La pronuncia traeva origine dal FATTO che la signora MEVIA azionava ricorso per decreto ingiuntivo contro il marito al fine di ottenere il rimborso delle spese da lei effettuate in favore della figlia minore sostenute per ragioni mediche (cure di ortodonzia) e per l’acquisto di materiale didattico. Mevia deduceva che in base al regime di separazione al marito andavano accollate il 70% delle spese sostenute.
Tizio, marito ingiunto, proponeva opposizione a D.I. eccependo:
- Nonostante il regime di affido condiviso egli non era stato avvisato e consultato circa l’ingente spesa straordinaria;
- Se fosse stato avvisato la figlia avrebbe potuto beneficiare di una convenzione medica in suo favore;
- La moglie non aveva provato la natura medica della spesa e la sua urgente necessità.
Il Tribunale con sentenza n. 1236/2013 ha accolto l’opposizione di TIZIO e revocato il D.I. ritenendo non dovute le somme richieste poiché relative a spese effettuate precedentemente al regime di separazione e non riconducibili alla categoria delle spese straordinarie e non concordate preventivamente come imposto dal regime di affidamento condiviso.
A seguito della proposizione di appello da parte di MEVIA la Corte d’appello di Roma con sentenza n. 6575/2014, ha confermato la decisione di primo grado ritenendo fondata l’esclusione del diritto al rimborso delle spese effettuate prima della separazione e di quelle non preventivamente concordate.
Mevia propone ricorso in Cassazione, avverso la citata sentenza, affidato a due motivi.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse, con il primo motivola ricorrente MEVIA lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere sussistente un obbligo imprescindibile di concertazione e di condivisione delle spese straordinarie, atteso anche il tenore letterale dell’ordinanza presidenziale di separazione e citava orientamento giurisprudenziale (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 2182/2009) che affermava “non è configurabile a carico del coniuge affidatario alcun obbligo di previa concertazione con l’altro coniuge sulla determinazione delle spese straordinarie”.
La decisione
La Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, mediante la citata sentenza n. 4753/2017 ha ritenuto il motivo infondato ma ha accolto il secondo, riferito alla liquidazione delle spese, e cassato la sentenza de quo.
Precisa la Suprema Corte che secondo la giurisprudenza più recente “non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, trattandosi di decisione di maggiore interesse per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso” (Corte di Cassazione, Sezione VI, ordinanza n. 16175/2015).
Da quanto innanzi consegue che nel caso di mancata concertazione e di rifiuto di provvedere al rimborso, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità delle spese rispetto all’utilità e della sostenibilità delle spese rapportata alle condizioni economiche dei genitori (Corte di Cassazione, Sezione VI, ordinanza n. 16175/2015).
Orbene, conclude sul punto la Cassazione, tale valutazione era stata effettuata dal giudice di merito il quale ha dato valore al rifiuto del coniuge non affidatario di provvedere al rimborso in quanto basato sulla possibilità di affrontare la spesa medica necessaria (quella di ortodonzia) mediante l’utilizzazione della convenzione sanitaria di cui era titolare in relazione alla professione che svolgeva.
Pertanto, la Corte rigetta il primo motivo di ricorso.