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Il mantenimento di ritorno del figlio maggiorenne


Il mantenimento di ritorno del figlio maggiorenne



Nota a Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 24 febbraio – 14 marzo 2017, n. 6509
Il fatto. La figlia lascia il precedente lavoro a tempo indeterminato, per trovare poi un'occupazione a tempo determinato.
Applicabile il principio secondo cui, una volta raggiunta la capacità lavorativa, e quindi l'indipendenza economica, la successiva perdita dell'occupazione non comporta la reviviscenza dell'obbligo del genitore al mantenimento.
La pronunzia si aggiunge a una mole consistente di decisioni giurisprudenziali, che si sono soffermate sul diritto dei figli maggiori d’età di essere mantenuti dai genitori.
Non di meno, la questione presenta un’indubbia rilevanza dal punto di vista giuridico e sociale, alla luce, almeno, di due semplici osservazioni: anzitutto, la maggiore età, nella società contemporanea, di rado coincide con l’acquisizione dell’indipendenza economica da parte dei figli; indipendenza, che, sovente, non soggiunge nemmeno con il completamento degli studi universitari. Ne consegue, in secondo luogo, la necessità di garantire ai figli maggiori d’età, in ispecie per il caso in cui vengano a deteriorarsi i rapporti tra i genitori, la certezza del mantenimento sino all’acquisizione dell’indipendenza economica, sulla scia, vuoi del fondamento stesso di quell’obbligo, vuoi dello sfondo solidaristico che è proprio della famiglia, intesa quale unità fondamentale dell’organizzazione sociale.
Il raggiungimento della maggiore età dei figli non rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento, ma quest’ultimo è condizionato dal raggiungimento di un'autosufficienza economica tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione al completamento di un fruttuoso percorso di studio.
Va richiamata, prima di tutto, sia per l’importanza della pronuncia in sé sia perché è la più recente, nell’ambito delle decisioni di merito, la statuizione della nona sezione del Tribunale di Milano, nella quale viene disposto, per la prima volta, che con il superamento di una certa età, "il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come 'figlio', bensì come adulto". Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché "l'obbligo dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione" (Cass. n. 18076/2014; Cass. Sez. Unite, n. 20448/2014).
Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di Milano è, "in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed europee" non può protrarsi dunque "oltre la soglia dei 34 anni", età a partire dalla quale "lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non - può - più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto". Il Tribunale indica le circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell'obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, asserendo che la valutazione del giudice deve essere orientata in modo da “escludere che la tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe, com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani".
La valutazione delle circostanze che di volta in volta caratterizzano il caso concreto e che giustificano la ricorrenza o meno dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni va effettuata caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei beneficiari per evitare “forme di vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani”.
In relazione alle ultime pronunce della giurisprudenza di legittimità, va richiamata una recente pronuncia della Cassazione, (Cass. Sez. VI, 12 aprile 2016, n. 7168) in cui viene sancito che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 c.c., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta.
In sintesi, il mantenimento è dovuto fino a quando il figlio non sia autonomo economicamente, percependo un reddito, in relazione però, secondo la giurisprudenza, al titolo di studio conseguito (Cass., 21.2.2007, n. 4102), tenendo conto delle condizioni del mercato del lavoro, delle aspirazioni e della corrispondenza tra lavoro e titolo di studio, potendo quindi rifiutare occasioni di lavoro non adeguate (è il fenomeno del c.d. choosy), per un tempo indefinito, ma comunque ragionevole (Cass., 3.4.2002, n. 4765) o abbia già lavorato, pur se poi abbia perso il lavoro (Cass., 7.7.2004, n. 12477 e Cass., 2.12.2005, n. 26259), ovvero non sia divenuto autonomo per propria colpa o abbia raggiunto un’età tale da dover provvedere comunque a se stesso o anche, infine, sia mantenuto da terzi (ad esempio, dal coniuge ricco o dai genitori di costui).
Al riguardo, si è opportunamente precisato, peraltro, che non ogni occasione lavorativa che si presenta al figlio, e da costui rifiutata, può valere ad esonerare il genitore obbligato dall’onere di mantenimento: lo è solo quell’occasione lavorativa che, rispetto alle inclinazioni, aspirazioni e caratteristiche soggettive del giovane, cosı` come desumibili in atti, sia a lui congeniale e idonea, sı` da far ritenere il rifiuto privo di ragionevole e accettabile giustificazione (Cass., 2.9.1996, n. 7990; Cass., 3.4.2002, n. 4765, e, in senso contrario, v. Cass., 3.2.2014, n. 2236 e CASS., 22.5.2014, n. 11414).
Ai fini dell'esenzione dall'obbligo di mantenimento è necessario un provvedimento del giudice (Cass. n. 13184/2011; Trib. Modena 23 febbraio 2011).
L'onere probatorio, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato dall'obbligazione ex lege, il quale deve fornire "la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attività lavorativa sia a quest'ultimo imputabile (Cass. n. 2289/2001; Cass. n. 11828/2009).
Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica, ma anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto, sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ. Sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858).
Va dato conto, in ultimo, anche dell’ipotesi in cui, venute meno le circostanze poste a presupposto del mantenimento del figlio maggiorenne, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica del figlio maggiorenne, si verifichi la sopravvenienza di circostanze ulteriori che determinano l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento economico. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata, non può risorgere l'obbligo "potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori, un obbligo alimentare" (Cass. n. 2171/2012; Cass. n. 5174/2012; Cass. n. 1585/2014).