Sì al carcere per il genitore che si disinteressa del figlio
Guai per il genitore separato che non versa l’assegno di mantenimento e si disinteressa del figlio!
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 50075 del 25 novembre 2016, ha confermato la condanna di un padre “inerte” alla pena di mesi sette di reclusione ed euro 600,00 di multa, oltre al risarcimento del danno in favore dell’ex coniuge, costituitasi parte civile (alla quale era stata assegnata una provvisionale pari ad euro 60.000).
Il fatto
L’uomo è stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 570 c.p. (rubricato “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”) poiché non avendo mai versato l’assegno di mantenimento pari ad euro 300,00 mensili, aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minore, privandolo anche della dovuta assistenza morale “non essendosi mai interessato di lui ed avendolo visto solo due volte nel corso del primo anno di vita”.
L’uomo ricorreva in Cassazione, adducendo a propria discolpa l’intervenuto fallimento dell’azienda di cui era titolare.
L’uomo ricorreva in Cassazione, adducendo a propria discolpa l’intervenuto fallimento dell’azienda di cui era titolare.
Le motivazioni della Suprema Corte
I Giudici hanno rigettato il ricorso del padre, affermando che “essendo stato commesso il reato ascritto in danno di soggetto minorenne, lo stato di bisogno di quest’ultimo è in re ipsa, salva la sussistenza di elementi concreti idonei a consentire il superamento della relativa presunzione: ne discende che la deposizione della madre del minore, circa il ricorso all’aiuto di terzi per far pronte alle esigenze del figlio altro non fa che corroborare ulteriormente, ancorché non ve ne fosse necessità, la presunzione anzidetta”.
Per quanto concerne l’asserita indigenza economica addotta dal padre “inerte”, la Corte evidenzia che “la produzione della mera sentenza dichiarativa del fallimento della ditta di cui era titolare non vale certo a ritenere assolto l’onere probatorio pacificamente incombente sull’imputato, nel senso dell’omessa corresponsione del benché minimo contributo economico e del totale disinteresse manifestato nei confronti del piccolo, che si sottolineano inoltre datare già da epoca precedente alla ricordata declaratoria di fallimento”.
Il genitore che viola reiteratamente gli obblighi di assistenza morale e materiale della prole rischia dunque la pena detentiva, non potendo invocare a propria discolpa nemmeno la tenuità del fatto in quanto l’abitualità della condotta lesiva osta al riconoscimento del beneficio (Cass. sent. n. 23020/2016; Cass. sent. n. 48549/2016)
Per quanto concerne l’asserita indigenza economica addotta dal padre “inerte”, la Corte evidenzia che “la produzione della mera sentenza dichiarativa del fallimento della ditta di cui era titolare non vale certo a ritenere assolto l’onere probatorio pacificamente incombente sull’imputato, nel senso dell’omessa corresponsione del benché minimo contributo economico e del totale disinteresse manifestato nei confronti del piccolo, che si sottolineano inoltre datare già da epoca precedente alla ricordata declaratoria di fallimento”.
Il genitore che viola reiteratamente gli obblighi di assistenza morale e materiale della prole rischia dunque la pena detentiva, non potendo invocare a propria discolpa nemmeno la tenuità del fatto in quanto l’abitualità della condotta lesiva osta al riconoscimento del beneficio (Cass. sent. n. 23020/2016; Cass. sent. n. 48549/2016)
Ancora una volta, la Suprema Corte si schiera dalla parte dei più deboli, i minori.
I coniugi che si separano, infatti, non devono mai dimenticare le proprie responsabilità genitoriali, dalle quali non è possibile esimersi, poiché i minori non possono e non devono mai divenire vittime incolpevoli della conflittualità della coppia.