Se il marito tradisce non deve pagare il mantenimento né perde la casa
L’addebito della separazione non è correlata all’obbligo di mantenimento e all’assegnazione della casa coniugale.
Tradimenti non necessariamente condannati all’obbligo di pagamento del mantenimento. Spesso si confonde il concetto di addebito della separazione con quello relativo all’obbligo di mantenimento e all’assegnazione della casa familiare. Si tratta, in verità, di tre istituti diversi con presupposti non necessariamente coincidenti. Cosicché si può ben verificare che il coniuge a cui sia addebitata la colpa della rottura del matrimonio (per esempio a seguito di infedeltà) non sia né tenuto a versare il mantenimento all’ex, né perda la casa di proprietà. Vediamo meglio di chiarire le idee.
Cos’è l’addebito e quali sono le conseguenze
L’addebito – ossia la dichiarazione di responsabilità per la rottura del matrimonio – scatta nei confronti del coniuge il cui comportamento colpevole, in violazione dei doveri coniugali, abbia determinato l’intolleranza della convivenza. Di certo, quindi, l’infedeltà è causa di addebito, sempre che essa sia l’effettiva ragione della “rottura” tra i coniugi. Diversamente, in un contesto in cui il rapporto si sia già sgretolato per altre ragioni e l’infedeltà sia solo una normale conseguenza, essa non è considerata causa di addebito. Un’altra causa di addebito potrebbe essere un comportamento vessatorio e violento, l’abbandono della casa familiare, la violazione del dovere di assistenza morale e materiale, ecc.
Contrariamente, però, a quanto potrebbe credersi, non è vero che il coniuge a cui sia imputato l’addebito debba necessariamente pagare il mantenimento. Infatti le conseguenze dell’addebito sono altre, ossia:
– chi subisce l’addebito non può pretendere il mantenimento da parte dell’altro coniuge. Potrebbe tutt’al più chiedere, in caso di effettivo bisogno, gli alimenti: un contributo corrispondente all’importo minimo indispensabile per garantire la sopravvivenza (l’ammontare è inferiore, quindi, all’assegno di mantenimento che, invece, per come a breve si vedrà, mira a garantire lo stesso tenore di vita di cui si godeva durante il matrimonio);
– chi subisce l’addebito perde i diritti di successione verso l’altro coniuge: per cui se decede prima il coniuge non responsabile della separazione, quello che ha ricevuto l’addebito non può accampare pretese come erede. Viceversa, se muore prima il coniuge con l’addebito, l’altro gli succede regolarmente (a meno che non sia intervenuto il divorzio);
– il separato con addebito perde il diritto alla pensione di reversibilità dell’ex, salvo che il giudice gli abbia riconosciuto il diritto agli alimenti;
– il coniuge con addebito paga le spese processualidella causa di separazione;
– il coniuge con addebito potrebbe (ma è piuttosto difficile che accada) essere condannato, al termine della causa di separazione, al risarcimento del danno nei confronti dell’altro coniuge. Ciò avviene solo in casi straordinari che, nell’ipotesi di infedeltà, consistono in quelle ipotesi in cui il tradimento sia stato consumato in modo particolarmente lesivo della dignità dell’ex (si pensi a un tradimento ripetuto e continuo, noto a tutta la collettività o, per esempio, con la migliore amica della propria ex moglie).
Come visto, tra tutte le conseguenze della dichiarazione di addebito, per come appena elencate, non vi è l’obbligo al pagamento dell’assegno di mantenimento. Dunque, non è automatico che il coniuge infedele, cui sia stata addebitata la separazione, debba versare l’assegno mensile di mantenimento all’ex. Il che non è detto che accada, ma altri sono i presupposti, per come vedremo a brevissimo.
A che serve l’assegno di mantenimento
La funzione dell’assegno di mantenimento non è quella di sanzionare il coniuge colpevole della rottura del matrimonio, ma solo quella di garantire al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita di cui godeva durante il matrimonio. Dunque, il mantenimento ha solo una funzione assistenziale.
La regola è dunque la seguente:
– chi tradisce versa il mantenimento solo se l’altro coniuge ha un reddito inferiore, che non gli consente di mantenere il tenore di vita che aveva durante il matrimonio; nelle altre ipotesi non è tenuto ad alcun mantenimento;
– chi tradisce non può mai chiedere il mantenimentoper sé; a tutto voler concedere potrebbe chiedere gli alimenti (che sono ben più misera cosa) se solo dimostra di versare in condizioni di povertà estrema.
Se, dunque, è vero che chi subisce l’addebito non può pretendere il mantenimento nonostante sia più povero dell’altro, non è detto che chi tradisce debba sempre pagare il mantenimento all’ex se quest’ultimo ha lo stesso reddito del coniuge fedifrago o, addirittura, uno superiore.
Si pensi, per esempio, all’uomo che sposa una donna particolarmente benestante, che con il proprio patrimonio contribuisce maggiormente al ménage della famiglia. In tal caso, se il marito tradisce la moglie non le dovrà versare alcun mantenimento. Tuttavia, il marito, in quanto colpevole, non potrà a sua volta chiedere il mantenimento.
Che funzione ha l’assegnazione della casa coniugale
Così come chi tradisce non deve necessariamente versare il mantenimento, non è neanche detto che egli debba lasciare la casa coniugale all’ex. Anche in questo caso, la funzione dell’assegnazione della casa non ha natura punitiva, ma serve solo a garantire ai figli di continuare a vivere, nonostante la separazione dei genitori, nello stesso habitat domestico.
Di conseguenza:
– se la coppia non ha figli, chi tradisce continua a vivere nella propria casa di proprietà e la stessa non viene assegnata all’altro coniuge;
– se i figli sono ormai autonomi economicamente o non vivono più con i genitori, la casa rimane al legittimo proprietario (che, appunto, potrebbe essere il coniuge traditore);
– se il genitore a cui è stata assegnata la casa familiare e presso cui sono stati collocati i figli decide di andare a vivere altrove, la casa torna nella disponibilità dell’altro coniuge.
E l’affidamento dei figli?
Anche le regole sull’affidamento dei figli non subiscono influenze dall’eventuale accertamento dell’infedeltà. Il padre infedele – ha più volte ripetuto la giurisprudenza – può essere un buon padre e, quindi, ha diritto a vedere e frequentare i figli secondo i principi dell’affido condiviso (che in questo caso non hanno ragione di essere derogati). Anzi, la madre che per ripicca non gli consente di vedere i minori rischia di perdere essa stessa l’affidamento della prole.