Alimenti non versati, perdonato il genitore che ogni tanto non adempie
Padre divorziato, con un figlio da mantenere e un lavoro traballante. Condannato nei primi due gradi di giudizio, viene salvato dalla Suprema Corte: la sola testimonianza dell’ex moglie non è attendibile. L’inadempimento saltuario (si parla di sei mesi non pagati su ventuno) del versamento dell’assegno non è bastevole per far condannare una persona, sulla base dell’art. 570 c.p., per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza all’infante. Questo il principio che emerge dalla sentenza 33319/12.
La Corte di Appello di Messina – confermando la statuizione di primo grado – condannava un padre di famiglia per il reato previsto dall’art. 570, comma 2, c.p.: nel lasso di tempo di circa due anni, l’uomo aveva fatto mancare i mezzi di sussistenza al figlio minorenne. Nel ricorrere per Cassazione, l’imputato censurava la testimonianza offerta dalla moglie (la quale sosteneva di ricevere l’assegno solo ogni tre o quattro mesi), argomentando che i vaglia prodotti avrebbero invece dimostrato un’effettuazione regolare dei versamenti. La Suprema Corte interpreta diversamente la situazione. Dall’esame dei sopra detti vaglia – spiegano i giudici di legittimità – risulta che nel periodo contemplato dall’imputazione «solo» sei mensilità sul totale di ventuno non furono saldate. L’adempimento, insomma, non ebbe l’elevata frequenza denunciato. Fu invece «saltuario», plausibilmente collegato al tipo di lavoro svolto dall’uomo (cameriere con contratto a tempo determinato).
Manca il nucleo essenziale che configuri il reato. Quanto meno sotto il profilo psicologico, è impossibile riscontrare una consapevole e volontaria sottrazione agli obblighi di somministrazione dei mezzi di sussistenza, condizione senza la quale non può emergere il delitto ex art. 570 c.p.
La sentenza impugnata, causa manifesta illogicità della motivazione che valorizza una testimonianza «palesemente contraddetta da risultanze documentali incontrovertibili», viene perciò annullata senza rinvio.