Separazione: la casalinga quarantenne conserva il diritto all'assegno di mantenimento, anche se il marito ha avuto un altro figlio dalla nuova partner
Se da una parte è vero che, in materia di separazione personale, la formazione di una nuova famiglia e la nascita di nuovi figli dal nuovo partner, può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite in quanto comporta l'assunzione di nuovi obblighi di carattere economico, è altrettanto vero che tale circostanza sopravvenuta deve essere valutata dal Giudice caso per caso e non determina una automatica riduzione degli oneri di mantenimento precedentemente stabiliti in sede di separazione.
Nel caso in esame, la moglie, quarantenne, si è rivolta alla Corte Suprema di Cassazione per impugnare la decisione della Corte di Appello di Bari che aveva stabilito la revoca del'assegno mensile a suo favore stabilito in sede di separazione consensuale in quanto "l'aumento dei costi determinati dalla situazione di dissociazione della famiglia imponeva un contenimento delle esigenze degli interessati e che il diritto della moglie al mantenimento doveva ritenersi recessivo rispetto al diritto del minore, anche se nato da una famiglia di fatto, di essere mantenuto dal genitore".
I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che, in realtà, non vi è alcun indice normativo che il diritto al mantenimento del coniuge separato debba essere ridotto o essere considerato residuale rispetto a quello del nuovo figlio.
Ciò che, invece, l'organo giudicante è chiamato a valutare, è se la circostanza sopravvenuta giustifichi, ai sensi del'art. 156 c.c., la revoca o la modifica delle condizioni già fissate.
A questo proposito, l'argomentazione dei Giudici della Suprema Corte si concentra sul mancato reperimento da parte della moglie di una sistemazione lavorativa, doglianza avanzata dal marito per giustificare la revoca dell'assegno di mantenimento stabilito con accordo separativo.
Il principio su cui si basa un consolidato orientamento giurisprudenziale, è quello per cui in tema di separazione personale, l'attitudine al lavoro, quale potenziale capacità di guadagno, è un elemento valutabile da parte del giudice ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento.
In questa valutazione, l'organo giudicante deve avere riguardo ad ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica, e quindi non solo ai redditi in denaro.
In questo contesto, l'attitudine del coniuge al lavoro deve essere riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita tenendo conto dei concreti fattori ambientali e individuali e non sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
Nel caso di specie, il fatto che fosse emerso in sede di appello che la moglie aveva inviato il proprio curriculum a diverse strutture alberghiere e che aveva collaborato, peraltro gratuitamente, presso l'esercizio commerciale del fratello, non costituisce di per sé la prova della effettiva possibilità da parte della donna di ottenere una collocazione nel mondo del lavoro.
Ai fini della revoca dell'assegno di mantenimento a favore della moglie, invece, sarebbe occorsa la dimostrazione che successivamente all'accordo separativo, la moglie aveva acquisito diverse professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle avute in precedenza, oppure che aveva ricevuto effettive offerte di lavoro o che, concretamente, avrebbe potuto procurarsi una specifica occupazione.
Poiché nessuna prova su dette circostanze è stata fornita dal marito, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso avanzato dalla moglie.
Nel caso in esame, la moglie, quarantenne, si è rivolta alla Corte Suprema di Cassazione per impugnare la decisione della Corte di Appello di Bari che aveva stabilito la revoca del'assegno mensile a suo favore stabilito in sede di separazione consensuale in quanto "l'aumento dei costi determinati dalla situazione di dissociazione della famiglia imponeva un contenimento delle esigenze degli interessati e che il diritto della moglie al mantenimento doveva ritenersi recessivo rispetto al diritto del minore, anche se nato da una famiglia di fatto, di essere mantenuto dal genitore".
I giudici della Suprema Corte hanno sottolineato che, in realtà, non vi è alcun indice normativo che il diritto al mantenimento del coniuge separato debba essere ridotto o essere considerato residuale rispetto a quello del nuovo figlio.
Ciò che, invece, l'organo giudicante è chiamato a valutare, è se la circostanza sopravvenuta giustifichi, ai sensi del'art. 156 c.c., la revoca o la modifica delle condizioni già fissate.
A questo proposito, l'argomentazione dei Giudici della Suprema Corte si concentra sul mancato reperimento da parte della moglie di una sistemazione lavorativa, doglianza avanzata dal marito per giustificare la revoca dell'assegno di mantenimento stabilito con accordo separativo.
Il principio su cui si basa un consolidato orientamento giurisprudenziale, è quello per cui in tema di separazione personale, l'attitudine al lavoro, quale potenziale capacità di guadagno, è un elemento valutabile da parte del giudice ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento.
In questa valutazione, l'organo giudicante deve avere riguardo ad ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica, e quindi non solo ai redditi in denaro.
In questo contesto, l'attitudine del coniuge al lavoro deve essere riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di una attività lavorativa retribuita tenendo conto dei concreti fattori ambientali e individuali e non sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.
Nel caso di specie, il fatto che fosse emerso in sede di appello che la moglie aveva inviato il proprio curriculum a diverse strutture alberghiere e che aveva collaborato, peraltro gratuitamente, presso l'esercizio commerciale del fratello, non costituisce di per sé la prova della effettiva possibilità da parte della donna di ottenere una collocazione nel mondo del lavoro.
Ai fini della revoca dell'assegno di mantenimento a favore della moglie, invece, sarebbe occorsa la dimostrazione che successivamente all'accordo separativo, la moglie aveva acquisito diverse professionalità diverse ed ulteriori rispetto a quelle avute in precedenza, oppure che aveva ricevuto effettive offerte di lavoro o che, concretamente, avrebbe potuto procurarsi una specifica occupazione.
Poiché nessuna prova su dette circostanze è stata fornita dal marito, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso avanzato dalla moglie.