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Divorzio: il divario di stipendio tra coniugi non conta più



Divorzio: il divario di stipendio tra coniugi non conta più
Nessun mantenimento all’ex moglie che ha un proprio reddito, anche se questo è molto più basso di quello del marito.
Chi l’ha detto che la moglie che ha una propria busta paga, anche se molto più bassa del marito, ha diritto al mantenimento? È tutt’altro che scontato invece il contributo mensile ora che la Cassazione ha cambiato le regole sull’assegno di divorzio. È quanto chiarito dalla Cassazione poche ore fa [1]: il divario di stipendi tra coniugi non conta più. Questo significa che ben si può avere una situazione in cui il marito, titolare di un reddito particolarmente elevato, non debba più pagare un euro alla ex moglie che ha di che tirare avanti.
Chi ha letto il nostro articolo Assegno di divorzio, a chi spetta? saprà già che, a partire dalla sentenza dello scorso 10 maggio [2], solo il coniuge non autosufficiente dal punto di vista economico ha diritto agli alimenti dall’ex, sempre che la sua incapacità non dipenda da inerzia volontaria. Per fare un esempio (che statisticamente è più frequente), la donna con uno stipendio di circa mille euro al mese non ha più diritto ad alcun contributo dal marito che guadagna più di lei, a differenza di quanto avveniva in passato. Se invece la busta paga della donna è al di sotto del minimo per vivere – calcolato sulla base del reddito medio percepito nella zona in cui abita – allora c’è ancora spazio per il mantenimento.
Per calcolare l’assegno di mantenimento, il giudice non deve più verificare il tenore di vita goduto dalla coppia quando ancora era unita, circostanza che un tempo portava – di fatto – a dividere spesso per due la somma dei redditi dei coniugi. Se lui percepiva 1.500 euro e lei solo 400 euro, l’assegno sarebbe stato di circa 400 euro. Oggi non è più così. Bisogna garantire alla moglie solo il sostentamento (che, a detta del tribunale di Milano, si raggiunge con circa mille euro al mese, almeno nel capoluogo lombardo). Così, per fare di nuovo un esempio, se lui guadagna 10mila euro al mese e lei solo mille, non spetta più alcun assegno di divorzio.
Non è più il divario tra i redditi dei coniugi al momento del divorzio che può giustificare il mantenimento, ma la mancanza dell’indipendenza o autosufficienza economica del coniuge che richiede il contributi mensile.
 [1] Cass. ord. n. 23602/17 del 9.10.2017
[2] Cass. sent. n. 11504/17 del 10.05.2017.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 7 luglio – 9 ottobre 2017, n. 23602
Presidente Genovese – Relatore Lamorgese
Fatti di causa
La Corte d’appello di Palermo, con sentenza 27 agosto 2015, in accoglimento del gravame di L.P.V. , ha posto a carico di A.A. l’obbligo di versare all’ex coniuge un assegno divorzile di Euro 200,00 mensili, avendo ritenuto che la L.P. , benché svolgesse un’attività lavorativa dipendente e le fosse stata assegnata la casa coniugale, non avesse redditi adeguati a conservare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, tenuto conto del divario tra le retribuzioni delle parti e della necessità di riequilibrare le situazioni economiche degli ex coniugi.
Avverso questa sentenza A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi; la L.P. ha resistito con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, della legge n. 898/1970, succ. mod., per avere giustificato l’attribuzione dell’assegno divorzile per la presunta necessità di consentire all’ex coniuge di conservare il tenore di vita matrimoniale, mentre la funzione dell’assegno è esclusivamente assistenziale; la L.P. aveva mezzi e redditi che le consentivano di vivere un’esistenza autonoma e dignitosa, essendo stata assunta a tempo indeterminato, mentre egli aveva subito un peggioramento delle proprie condizioni economiche.
Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata ha fatto applicazione di un orientamento interpretativo, in tema di verifica delle condizioni legali per l’attribuzione dell’assegno divorzile, che è stato recentemente superato da questa Corte (Cass. n. 11504 e n. 15481 del 2017), la quale ha enunciato il seguente principio: il giudice del divorzio, richiesto dell’assegno di cui all’art. 5, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi: a) deve verificare, nella fase dell’an debeatur”, se la domanda dell’ex coniuge richiedente soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di “mezzi adeguati” o, comunque, impossibilità “di procurarseli per ragioni oggettive”), non con riguardo ad un “tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”, ma con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica” dello stesso, desunta dai principali “indici” – salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie – del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri “lato sensu” imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell’ex coniuge richiedente), della capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all’eccezione ed alla prova contraria dell’altro ex coniuge; b) deve tener conto, nella fase del “quantum debeatur”, di tutti gli elementi indicati dalla norma (“condizioni dei coniugi”, “ragioni della decisione”, “contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune”, “reddito di entrambi”) e valutare “tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio” al fine di determinare in concreto la misura dell’assegno divorzile, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell’onere della prova.
La Corte di merito ha accolto la domanda di assegno divorzile sulla base del mero “divario tra le retribuzioni delle parti” e della inadeguatezza dello stipendio percepito dalla L.P. “se raffrontato alla situazione economica in costanza di matrimonio”.
Tuttavia, non è il divario tra le condizioni reddituali delle parti al momento del divorzio né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l’assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, che possono giustificare di per sé l’attribuzione dell’assegno, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” del coniuge richiedente l’assegno. Infatti, nella fase del giudizio concernente man debeatur” (con la quale in nessun modo può essere confusa la fase del “quantum debeatur”), il coniuge richiedente l’assegno, per il principio di autoresponsabilità economica, è tenuto quale “persona singola” a dimostrare la propria personale condizione di non indipendenza o autosufficienza economica, sulla base degli indici sopra indicati in via orientativa. Alle condizioni reddituali dell’altro coniuge (unitamente agli altri elementi, di primario rilievo, indicati dalla norma) può aversi riguardo soltanto nell’eventuale fase della quantificazione dell’assegno, alla quale è possibile accedere solo nel caso in cui la fase dell”an debeatur” si sia conclusa positivamente per il coniuge richiedente l’assegno.
Gli altri due motivi, riguardanti la valutazione del tenore di vita matrimoniale e del rilievo da attribuire all’assegnazione della casa coniugale, sono assorbiti.
In conclusione, la sentenza impugnata è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, che dovrà fare applicazione dei principi sopra enunciati e provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.