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Lo STUDIO LEGALE "AVV. VANIA SCIARRA" si trova in Via Fedele Romani n. 15 (PE) - I recapiti telefonici sono: Tel. Cell. 339.7129029. A ROMA Via Lucantonio Cracas n. 7 e a PIACENZA Viale Malta n. 12. Indirizzo di posta elettronica: avv.vaniasciarra@libero.it
L'Avv. VANIA SCIARRA è avvocato matrimonialista specializzato nel diritto di famiglia, in particolare nella soluzione stragiudiziale e giudiziale delle controversie in ambito matrimoniale, SEPARAZIONI e DIVORZI, e nell'ambito di CONVIVENZA more uxorio.
E' possibile ricevere assistenza legale - oggi grazie anche all'introduzione del PCT (Processo Civile Telematico) - SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE, ed in tempi brevissimi, grazie agli interventi legislativi di modifica apportati in materia con il D.L. 12 settembre 2014 n. 132 (G.U. n. 212 del 12.09.2014)(Procedura di negoziazione assistita da un avvocato - Divorzio breve).




SEPARAZIONE E DIVORZIO: Revoca dell'assegno divorzile e convivenza.

 

SEPARAZIONE E DIVORZIO - Revoca dell'assegno divorzile e convivenza. La coabitazione ha valore indiziario - Cass. Civ., Sez. I, ord.18 ottobre 2024 n. 27043

In materia di revoca dell'assegno divorzile disposta per l'instaurazione da parte dell'ex coniuge beneficiario di una convivenza more uxorio con un terzo, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, della eventuale coabitazione di essi, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l'insieme dei fatti secondari noti.

Ai fini della revoca dell'assegno divorzile, la convivenza "more uxorio" instaurata dall'ex coniuge che ne sia beneficiario può costituire fattore impeditivo del relativo diritto anche quando non sia sfociata in una stabile coabitazione, purché sia rigorosamente provata la sussistenza di un nuovo progetto di vita dello stesso beneficiario con il nuovo partner, dal quale discendano inevitabilmente reciproche contribuzioni economiche, gravando l'onere probatorio sul punto sulla parte che neghi il diritto all'assegno.

 

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SEPARAZIONE E DIVORZIO - Il figlio maggiorenne percettore di NASpI ha diritto al mantenimento?

Il figlio maggiorenne percettore di NASpI ha diritto al mantenimento? 

La cessazione del rapporto di lavoro non determina la reviviscenza dell’obbligo di mantenimento (Cassazione n. 8892/2024) Un padre divorziato impugna il provvedimento con cui viene obbligato a corrispondere il mantenimento alla figlia maggiorenne. La ragazza lavora con un contratto a tempo determinato per alcuni anni percependo 670 euro di stipendio e, una volta cessato il rapporto lavorativo per scadenza del termine, percepisce la NASpI. Il genitore sostiene che l’obbligo al mantenimento, ormai, sia venuto meno. L’obbligo di mantenimento in capo al genitore, separato o divorziato, torna a rivivere in caso di perdita del lavoro da parte del figlio maggiorenne? La Corte di Cassazione, Sezione I, con l’ordinanza 4 aprile 2024, n. 8892 (testo in calce), afferma che la cessazione del rapporto di lavoro non determina la reviviscenza dell’obbligo di mantenimento. Secondo i giudici di legittimità, la sentenza gravata ha errato nell’aver escluso il raggiungimento dell’indipendenza economica della figlia solo sulla base della cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato e senza aver attribuito rilievo alla percezione del sussidio pubblico (NASpI). Un contratto di lavoro a tempo determinato, infatti, può rappresentare un indicatore della capacità del figlio di procurarsi una fonte di reddito e, quindi, il venire meno dell’occupazione non fa rivivere il suddetto obbligo in capo al genitore. Tuttavia, giova precisare che il raggiungimento dell’autosufficienza economica non sempre è dimostrato dallo svolgimento di qualsiasi tipo di attività lavorativa a tempo determinato, atteso che l’indipendenza reddituale può essere esclusa in caso di rapporto di breve durata o per la ridotta misura della retribuzione. Inoltre, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’obbligo dei genitori non possa protrarsi sine die e, quindi, essi siano tenuti a mantenere il figlio maggiorenne per il tempo necessario al reperimento di un’occupazione, ma la ricerca del lavoro deve avvenire contemperando l’aspirazione astratta del ragazzo con il concreto mercato del lavoro. Infine, il figlio ormai adulto «non può soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito […]». Sommario La vicenda Premessa: cessazione del rapporto di lavoro e diritto al mantenimento Figlio percettore di NASpI: basta mantenimento? Sì all’assegno divorzile a favore della ex moglie Conclusioni: accolto il ricorso del padre relativamente al mantenimento della figlia La vicenda In seguito al divorzio dei coniugi, il Tribunale condanna il padre a versare direttamente ai figli maggiorenni ma non economicamente autosufficienti l’importo mensile di euro 670,00 ed euro 250,00 a favore dell’ex coniuge. L’uomo impugna la decisione e la Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di prime cure, revoca il mantenimento a favore del figlio, confermandolo, invece, a favore della figlia. Secondo i giudici di merito, il ragazzo ha raggiunto l’indipendenza economica, in quanto ha lavorato sino al 2022 in forza di un contratto a tempo determinato e vanta verosimili prospettive lavorative in considerazione del titolo di studio conseguito; al contrario, la figlia non ha raggiunto l’autosufficienza reddituale, atteso che fruisce del sussidio pubblico NASpI dal 2019; infine, viene confermato l’assegno divorzile alla moglie stante la durata ultraventennale del matrimonio, l’età della stessa, lo stato di salute e la ridotta capacità lavorativa. Si giunge così in Cassazione. Premessa: cessazione del rapporto di lavoro e diritto al mantenimento È pacifico che il raggiungimento della maggiore età non faccia cessare l’obbligo del genitore, separato o divorziato, di concorrere al mantenimento del figlio. Tuttavia, il suddetto obbligo non è permanente e il genitore che ne chiede la revoca deve dimostrare: che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, oppure che sia stato posto nelle concrete condizioni per rendersi autosufficiente ma, per sua colpa o scelta, non lo abbia fatto (Cass. 1773/2012; Cass. 1830/2011; Cass. 6509/2017). Il Codice civile dispone che “il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico” (art. 337-septies c.c.) e, negli anni, la giurisprudenza ha fornito dei criteri guida per l’interprete. I figli di genitori divorziati che abbiano superato la maggiore età ma non abbiano trovato un lavoro stabile o, comunque, che consenta loro di essere indipendenti sotto il profilo economico non possono soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa mediante l’attuazione dell’obbligo di mantenimento da parte del genitore. In altre parole, l’obbligo di mantenimento non è volto a soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa a cui un giovane adulto deve ambire. Infatti, a ciò sono diretti altri strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, finalizzati a dare sostegno al reddito (Cass. 38366/2021). Naturalmente, quanto detto non incide sull’obbligazione degli alimenti (art. 433 c.c.) che può essere azionata in ambito familiare «per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell’individuo bisognoso» (Cass. 29264/2022). Il giudice di merito per escludere la sussistenza del diritto al mantenimento deve accertare i seguenti presupposti: l’età del figlio che rileva in rapporto di proporzionalità inversa, infatti, all’avanzare dell’età dell’avente diritto «si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento», il raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica, l’impegno profuso nel reperimento di un’occupazione. Secondo la Cassazione, non è lo “strumento” del mantenimento che può soddisfare l’esigenza di una vita dignitosa, qualora il figlio maggiorenne, dotato di un titolo professionale, non abbia trovato un’occupazione stabile o un posto di lavoro la cui remunerazione lo renda autonomo. Il giovane adulto deve ricorrere ad altri strumenti di ausilio che sono finalizzati a dare sostegno al reddito. Ad esempio, in un caso, i giudici hanno ritenuto insussistenti i presupposti per la persistenza del diritto all'assegno di mantenimento da parte di una figlia, ormai trentenne, convivente con uno dei genitori, sottolineando come la sua età e la sua condizione di madre non economicamente autonoma avrebbero dovuto indurla a far ricorso a strumenti di sostegno sociale (così Cass. 29264/2022). Veniamo ora al decisum. Famiglia e diritto, Direzione scientifica: Sesta Michele, Ed. IPSOA, Periodico. Mensile di dottrina e giurisprudenza. Profili sostanziali, processuali, successori e tributari del diritto di famiglia. Figlio percettore di NASpI: basta mantenimento? Il padre lamenta che il giudice di merito abbia riconosciuto il mantenimento per la figlia maggiorenne, sebbene ella avesse lavorato con un regolare contratto dal 2017 al 2020. Inoltre, la ragazza aveva conseguito la formazione professionale di banconista e cameriera di bar, con la possibilità di ottenere dei rendimenti crescenti. La Suprema Corte considera fondata la doglianza. La portata dell’obbligo di mantenimento è circoscritta dal principio di autoresponsabilità, in quanto vanno anche considerati i doveri gravanti sui figli adulti, infatti, «la pienezza della scelta esistenziale personale deve pur fare i conti nel bilanciamento con le libertà e diritti altrui di pari dignità» (Cass. 17183/2020). Il genitore è tenuto a mantenere il figlio maggiorenne per il tempo necessario al reperimento di un’occupazione e la ricerca del lavoro deve avvenire contemperando l’aspirazione astratta del ragazzo con il concreto mercato del lavoro. Non è giustificabile che un figlio, ormai adulto, rimanga disoccupato nell’attesa di un lavoro che sia equivalente a quello desiderato (Cass. 26875/2023). La giurisprudenza ha ritenuto che lo svolgimento di un’attività retribuita, benché svolta in forza di un contratto a tempo determinato, possa rappresentare un elemento indicatore della capacità del figlio di procurarsi una fonte di reddito. Pertanto, la cessazione del rapporto di lavoro (o il cattivo andamento dello stesso) non determina la reviviscenza dell’obbligo di mantenimento. Preme sottolineare che il raggiungimento dell’autosufficienza economica non è dimostrato dallo svolgimento di ogni attività lavorativa a tempo determinato, infatti, l’indipendenza reddituale può essere esclusa in caso di rapporto di breve durata o per la ridotta misura della retribuzione (Cass. 40282/2021). Nel caso di specie, la figlia maggiorenne del ricorrente ha lavorato dal 2017 al 2020 con uno stipendio pari a 670,00 euro e, successivamente, ha fruito del sussidio NASpI. Si ricorda che NASpI è l’acronimo di “Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego”, si tratta di un’indennità mensile di disoccupazione, erogata su richiesta dell'interessato e spettante ai soggetti con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente l'occupazione (art. 1 d.lgs. 22/2015). Secondo i giudici di legittimità, lo svolgimento dell’attività lavorativa nel periodo indicato costituisce «un elemento oggettivamente dimostrativo di una astrattamente idonea autosufficienza economica», ciò esclude la “rinascita” dell’obbligo di mantenimento in capo al genitore in seguito alla cessazione del lavoro per scadenza del termine, sempre che non sussistano elementi di segno contrario. Sì all’assegno divorzile a favore della ex moglie L’uomo lamenta che la decisione gravata abbia riconosciuto l’assegno divorzile all’ex moglie, atteso che ella era dotata di una capacità lavorativa propria e risiedeva nell’immobile di cui era comproprietaria. I giudici di legittimità considerano infondata la doglianza, infatti, nella fattispecie oggetto di scrutinio, ricorrono i presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile nella sua funzione “perequativo-compensativa”. Il matrimonio tra le parti ha avuto durata ultraventennale, la moglie si è dedicata alla famiglia e alla crescita dei figli, inoltre, il suo stato di salute è critico, mentre l’ex marito si è giovato del suo contributo al ménage familiare e ha potuto perseguire una progressione nella propria carriera professionale. Giova ricordare che l’assegno di divorzio esplica una funzione composita: assistenziale, si tratta di un sostegno economico successivo alla cessazione della convivenza matrimoniale; perequativo-compensativa, ossia equilibratrice, finalizzata non già alla ricostituzione del tenore di vita esistente durante il rapporto, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell’altro coniuge (Cass. S.U. 32198/2021; Cass. 14256/2022; Cass. 11832/2023). Conclusioni: accolto il ricorso del padre relativamente al mantenimento della figlia La Suprema Corte accoglie il motivo di ricorso del padre in relazione all’obbligo di mantenimento per la figlia maggiorenne; infatti, la sentenza gravata ha errato nell’aver escluso il raggiungimento dell’indipendenza economica di quest’ultima solo sulla base della cessazione del rapporto di lavoro a tempo determinato e senza aver attribuito rilievo alla percezione della NASpI. La mancata valutazione di tutti questi elementi comporta l’accoglimento del motivo di ricorso «per violazione delle regulae elaborate da questa Corte in tema di assegno a favore dei figli maggiorenni in sede di regolazione della crisi familiare». La decisione impugnata viene cassata con rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione che deciderà anche in ordine alle spese di legittimità.

SEPARAZIONE E DIVORZIO - RIFORMA CARTABIA Sentenza Numero: 28727, del 16/10/2023

 SEPARAZIONE E DIVORZIO - RIFORMA CARTABIA

Sentenza Numero: 28727, del 16/10/2023

Sentenza | Materia: Famiglia

Oggetto

Crisi familiare - Domanda congiunta e cumulata di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio - Ammissibilità - Sussistenza.

Presidente: F. Genovese

Relatore: G. Iofrida

L’esito in sintesi

La Sezione Prima civile, in relazione al rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Treviso con ordinanza del 31 maggio 2023, ai sensi dell’art. 363-bis c.p.c., ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di crisi familiare, nell’ambito del procedimento di cui all’art. 473-bis.51 c.p.c., è ammissibile il ricorso dei coniugi proposto con domanda congiunta e cumulata di separazione e di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.»

 

SEPARAZIONE E DIVORZIO - Addebito della separazione: i chiarimenti della Cassazione


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SEPARAZIONE E DIVORZIO - Addebito della separazione: i chiarimenti della Cassazione

28 gen 2024

Grava sulla parte che richiede l'addebito della separazione la prova che la condotta dell'altro coniuge ha reso intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere della controparte provare l'anteriorità della crisi matrimoniale

L'addebito della separazione

Il caso in esame ha interessato una coppia che, giunta alla fase patologica del proprio rapporto, aveva deciso di ricorrere alla separazione coniugale.

Nella specie, il Giudice di primo grado, dopo essersi pronunciato sulla separazione dei coniugi, aveva respinto le reciproche domande di addebito della separazione. Avverso tale sentenza il marito aveva proposto appello, lamentando, in particolare, l'erroneità della statuizione in punto di addebito della separazione. La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza impugnata, procedeva ad addebitare la separazione alla moglie, la quale aveva pertanto proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione lamentando diverse doglianze.

La ricorrente aveva anzitutto evidenziato che il Giudice di secondo grado aveva omesso di valutare "le sue specifiche deduzioni in ordine alla decisione di vivere da separata in casa in considerazione dell'età della figlia, e di essere soggetta, anche a seguito dell'infortunio del marito, a richieste di pratiche sessuali a lei sgradite"; ella aveva inoltre rappresentato che la coppia, durante la crisi coniugale, aveva adottato l'abitudine di svolgere alcune attività, quali dormire e trascorrere le vacanze, separatamente. La parte ricorrente aveva altresì censurato l'utilizzo dei messaggi sulla chat "whatsapp" quale prova della perdurante sussistenza dell'affectio coniugalis tra i coniugi, dal momento che esse erano temporalmente successive al suo allontanamento volontario e concordato dalla casa coniugale.

La ricorrente, inoltre, aveva contestato la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa aveva ritenuto che ella non avesse assolto all'onere probatorio in ordine alla durata temporale della crisi coniugale.

La ripartizione dell'onere probatorio

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 35296/2023 (sotto allegata), ha esaminato la questione sottoposta alla sua attenzione, concernente in particolare la legittimità dell'addebito della separazione operato dalla Corte d'Appello, rigettando il ricorso proposto.

Rispetto alla suddetta circostanza il Giudice di legittimità ha anzitutto ricordato "il consolidato principio affermato da questa Corte secondo il quale grava sulla parte che richieda l'addebito della separazione l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale".

Ciò posto, prosegue la Corte, il Giudice di merito ha correttamente applicato tale principio, posto che dal giudizio era pacificamente emerso che "la moglie si è allontanata dalla casa familiare ed ha intrapreso una relazione extraconiugale, comportamenti che costituiscono violazione del dovere di coabitazione e del dovere di fedeltà, idonei, ciascuno di essi anche da solo, ed a maggior ragione se contestualmente attuati, a determinare l'addebito della separazione, a meno che il coniuge cui sono imputabili questi comportamenti non dimostri l'esistenza di una giusta causa o della loro inefficacia sulla crisi coniugale".

Invero, prosegue la Cassazione "la Corte d'appello ha adeguatamente spiegato (…) le ragioni per le quali ha ritenuto indimostrato che i comportamenti della moglie si innestassero su una crisi matrimoniale pregressa, dando particolare rilievo a taluni mezzi di prova e segnatamente alle conversazioni su chat, (…), alla circostanza che la convivenza era proseguita anche dopo la dedotta crisi (..), al tenore della testimonianza del fratello della ricorrente, che aveva mostrato sorpresa per la decisione di quest'ultima di lasciare il marito".

Sulla base du quanto sopra esposto, la Cassazione ha concluso il proprio esame, condividendo gli esiti cui era giunto il Giudice di secondo grado e ritenendo pertanto che la moglie, sulla quale gravava il relativo onere probatorio, non aveva fornito alcuna prova idonea a dimostrare il fatto che la crisi coniugale era precedente rispetto ai fatti alla stessa contestati, con la conseguenza che la separazione doveva considerarsi alla stessa addebitabile, conformemente a quanto statuito dalla Corte d'Appello.